Mara sul set

Nino l’hanno cacciato dal set. Ora sta in ospedale per colpa di una malattia che non ricordo il nome.

Dice che non è arrabbiato, è solo triste perché ha capito che non può farci niente. 

Quelli come noi, dice, se li porta via la morte in silenzio o un pirata della strada li schiaccia come formichine e poi scappa. 

Quelli come noi, dice, non hanno amici importanti e non possono farsi valere.

Noi siamo niente, dice, e niente restiamo fino alla fine. Quelli come noi, dice Nino, è difficile che diventano Qualcuno.

– Matuccheffai qui, bimbabella?

Mara è scappata dal camerino e si è nascosta sotto il tavolo, accanto all’operatore di macchina Due.

– Posso togliere le scarpe? 

– Ok, ma resta qui, zitta e buona. 

Evviva. Mara resta a piedi nudi che ne aveva davvero proprio bisogno. Fa caldo, qui, ma però le piacciono la musica romantica, le luci colorate – gelatine, le chiamano, che lei pensava che gelatine erano solo quelle che mangiava Papà suo, prima della malaiurnata – e le lenzuola di seta; piacerebbero anche a Mamma, dice che vorrebbe comprarne di nuove, di più pregiate ma però tiene quelle bucate che usava per Papà suo, prima della malaiurnata.

– Sì, certo – dice Mara – ma però se sento caldo posso uscire? Solo un pochino? 

– Eh no! Devi stare qui durante le riprese. Non dico a tuo fratello che hai disobbedito ma tu devi fare la brava. 

– Sì, certo, ma però – e allunga le gambe.

– Non ci siamo, bimbabella! E poi non sono cose da bambini. Tu, queste cose non le puoi guardare.

Mara è triste, ora, come quando le manca Papà suo. 

Come quando – è solo una bambina, certe cose non dovrebbe vederle – aveva detto Nino mentre portavano via la faccia biancabianca di Papà suo e Mamma – Chi malaiurnata! – piangeva e strillava.

Mara ripensa a quando, prima della malaiurnata – Resta qui, ferma e buona. Promesso? – le aveva detto Papà suo. Sì, certo, aveva risposto, ma però non l’aveva fatto. 

Mara non vuole che Nino muore. 

Diventerà Qualcuno, dice Mamma.

È grande, Nino, circa venti o trent’anni, grande come tutti i Qualcuno che conosce, cioè quelli della tivvù. 

– Lo vedi quello lì, Maretta? Lui è Qualcuno. Non le piace che Mamma la chiami “Maretta”. Come si fa a diventare Qualcuno con quel nome? 

Nino, che parte in vantaggio perché ha già un bel nome, ha deciso di mettere lei e Mamma sul treno, andare a Roma e usare tutti i soldini di Papà suo per provare, almeno lui, a fare il Qualcuno di mestiere.

Nel giorno libero, porta Mara al parchetto.

– Oggi vieni con me sul set – aveva detto – Mamma lavora e mi hanno chiamato all’improvviso. Ormai è famoso, si capisce. 

Mamma aveva trovato un lavoro. 

– Guarda che ori, che gran signora, quella lì! 

A quella lì, Mamma aveva sorriso durante il segno della pace e – Ma che bella la sua bambina, proprio bella! Ma che bella la sua collana, proprio bella! tanti che bella e che bella e, insomma, alla fine della messa Mamma aveva un lavoretto che ne aveva davvero proprio bisogno. Fa le pulizie nella villa della gran signora. 

Mara è felice di stare sul set perché a parte guardare la tivvù e andare in Chiesa non fa niente di speciale. Costa tutto troppo in questa città, dice Mamma. Non escono mai. Non hanno amici. 

Due spinge le gambe di Mara sotto il tavolo e le si piazza davanti.

– Così non vedo, non è giusto! E poi io li conosco già questi film romantici! Qualche volta Mamma mi copre gli occhi e questa cosa mi fa arrabbiare. A me mi va di guardare sempre, di guardare tutto. Perché voi grandi dovete decidere cosa posso o non posso guardare? Come quando Papà mio…

– Basta! Se non stai zitta dirò a tuo fratello che hai disobbedito, lui si arrabbierà e non ti vorrà più bene. 

Negli ultimi mesi la faccia di Nino era diventata come quella di Papà suo, e gli occhi, sempre più piccoli, li teneva spenti come se non funzionavano bene, come se la luce gli faceva male. Forse è questo che succede quando resti a guardare uno che muore e forse era per questo che Nino non voleva che lei la guardava troppo, la faccia di Papà suo. 

Mara ci pensa.

– Vuoi che tuo fratello finisca nei guai?

E chiude gli occhi.

– Vuoi che gli dica che hai disobbedito?

Forse, se restava in macchina, Papà suo non si faceva male. 

Ma lo sportello era aperto e lei voleva avvicinarsi alle luci, solo un pochino. Ridevano e ballavano, chiamavano lei, le luci colorate e i bambini dall’altro lato della strada, solo per farsi guardare.

– Vuoi che tuo fratello (muoia) non ti voglia più bene?

– No! 

– Allora non ti muovere. Promesso?

 – Sì, certo.

Ma però le sente ridere, le gelatine, le vede ballare sopra la testa e pensa che è felice di essere fuori da quella casa schifosa, coi tetti bassi, i buchi sui muri, porte e finestre scassate, cacche di topo. Ora è qui, in un posto speciale che profuma di vaniglia e petali di rosa.

– Dicono sia un talento naturale! Molto dotato! – grida il regista.

Mara è qui per guardare quelli famosi, vedere come sono belli. Perché uno, quando è Qualcuno, è più bello, e allora lo devi guardare: sennò che ci sta a fare nella tivvù? 

– AZIONE!

Nino dice che mi vorrà bene per sempre. 

Nino mi vuole bene, lo dice sempre. 

Due queste cose non le sa. Due non sa quanto mi vuole bene Nino.

Mara scatta in piedi. Sente versi come di cane e di gatto. 

– La faccia non si vede – dice Due.

– La faccia? – dice il regista, e ride.

Nino infila due dita nelle mutandine della signora e quella Oh! Oh! Oh! saltella sulle sue ginocchia, come Mara al parchetto. Poi Nino la vede: vede Mara sul set. 

Che fai, amore, ti sei addormentato? – dice la signora, e ride. 

Ridono tutti, tranne Nino. 

Gli occhi tristi, la faccia biancabianca come di uno che sta per morire.

Un racconto di Morgana Chittari

Illustrazione di Elisa Invy Inverardi

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