Il cielo è dei violenti

Mentre Emanuel Balbo agonizza a terra qualcuno rinfila le scarpe nuove che gli aveva appena rubato, gliele allaccia e si incammina all’indietro da dove era venuto.

Passa qualche secondo, poi le schegge ossee schizzano via dai muscoli, dai tendini e dai vasi sanguigni dove si erano conficcate, per ritornare al loro posto e il corpo di Emanuel comincia a farsi più leggero fino a sollevarsi da terra. È la mano a staccarsi per ultima mentre il corpo ascende al cielo con un’espressione di orrore sul viso. Le teste dei tifosi che lo guardano risalire si sollevano impercettibilmente, fino a quando la mano di Emanuel non si aggrappa alla sbarra bianca che percorre tutta la balaustra e poi, come se dovesse colpire un pallone a un metro sopra la sua testa, non potendo saltare perché sospeso nel vuoto, compie una rovesciata sovrumana e ci si ritrova avvinghiato sopra. In quel preciso momento capisce che sta per precipitare, poi sul suo fianco già dolorante arriva un pugno, poi un altro mentre una mano continua a pressare sulla sua spalla. Rimette i piedi a terra e cade all’indietro scomparendo tra quattro magliette azzurre. “Bájate o te mato. Es una gallina. ¡Tirenlo! ¡Tirenlo!” sente gridare mentre pugni, spinte e schiaffi arrivano da ogni direzione. Il cronista, che sta commentando le immagini in diretta, continua a ripetere al suo collega di non capire il motivo di questo pestaggio, dal momento che il ragazzo indossa i colori della squadra locale: Belgrano. E lo stadio, infatti, è tutto azzurro proprio perché, per prevenire possibili scontri, non ci sono tifosi della squadra ospite, il Talleres. 

Nessuno interviene. C’è chi continua a leccare il gelato, un bimbo sulle spalle del padre urla qualcosa all’indirizzo di Emanuel, molti hanno il telefonino in mano per riprendere la scena. Qualcuno sorride. Un ragazzino si fa coraggio e allunga una gamba per dargli un calcio. Poi, mentre Emanuel risale la curva correndo all’indietro, la folla davanti a lui si chiude come a respingerlo in alto verso i suoi aguzzini. “¡Este culiado es de Talleres! Este culiado es una gallina” continua a ripetere Oscar Gomez aizzandogli i tifosi contro. Arrivato in cima alla curva si ferma, circondato da un gruppo di persone che lo inghiotte per poi sputarlo fuori dopo qualche secondo, prima di masticarlo nuovamente. “¿Qué hacés acá? ¡Andate de acá porque te voy a matar! ¡Este culiado es de Talleres! ¡Este culiado es de Talleres!” grida Oscar Gomez, terrorizzato che Emanuel possa averlo riconosciuto. Poi tutto si calma. Smettono le grida e le botte, e allo stadio è di nuovo una domenica come tante altre. I cori di cinquantasettemila persone rimbombano fino al cielo che è un tutt’uno con la marea azzurra dei tifosi del Belgrano. Emanuel si volta verso i bagni per cercare suo padre ed è proprio nel tempo di uno battito di palpebre che incrocia lo sguardo di Oscar Gomez, l’uomo che quattro anni prima, durante una corsa clandestina, ha travolto e ucciso suo fratello quattordicenne mentre era su un motorino con un suo amico, senza fare nemmeno un giorno di galera. Il padre è di nuovo con Emanuel, gli dice che va in bagno, poi la sigaretta spenta balza da terra per infilarsi tra le dita e, mentre il fumo fuoriesce dai suoi polmoni, boccata dopo boccata, diventa sempre più lunga. Dopo aver rimesso l’accendino in tasca, insieme scendono gli scalini della curva nord a passo di gambero, escono dallo stadio, ritornando verso casa. 

Una volta arrivati Emanuel percorre il vialetto, si abbassa per slacciarsi le scarpe nuove che ha ricevuto per il compleanno, poi risale i tre gradini senza smettere di sorridere al padre che lo aspetta già in strada, si gira e sua madre gli dà un bacio sulla guancia.

Un racconto di Daniele Israelachvili

Illustrazione di Elisa Invy Inverardi

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