Cinque per cinque

“5×5?”

“Non ho capito”.

“5×5? Quanto fa? Rispondi”.

“Perché?”

“Fidati. 5×5?”

“25”.

“Bravo. 5×5?”

“Ancora?”

“Dai, 5×5?”

“25”.

“5×5?”

“25”.

“5×5?”

“25”.

“C’è un martello. Di che colore è?”

Silenzio. Nell’auto solo silenzio.

“C’è un martello” dice ancora l’uomo alla guida. “Di che colore è? Pensa a un colore. Solo questo devi fare. Un colore”.

Silenzio. Rotto da un ceffone, alla tempia sinistra, e l’uomo alla guida si lamenta e porta le mani alla testa.

“È del colore che hai rotto il cazzo” dice l’altro.

Silenzio.

“Pago io, Salvatò, prima che te lo scordi. E sicuro non ti pago per fare questi giochetti della minchia”.

L’uomo alla guida annuisce e si volta. Guarda fisso in direzione del negozio, si massaggia la tempia, e con gli occhi obliqui cerca di intuire l’umore del suo capo. Che sta ribollendo. Batte i palmi sul cruscotto dell’auto, forte, e impreca. Salvatore si copre gli occhi col gomito, nel caso scoppino gli airbag. Non succede.

“Quello sfaccimme di figghiandrocchia” grida il capo. “Dov’è? Dove minchia è? Lo vedi che mi fai incazzare coi tuoi giochetti, te l’ho detto mille volte, ma tu niente. Mi devi far diventare sgradevole per forza”.

L’uomo alla guida, Salvatore, alza il dito indice, senza dire nulla. Lo muove lentamente in direzione di una figura, un uomo sovrappeso. È sul marciapiede e si china con fatica, posa un ginocchio a terra, cerca la chiave dal mazzo, la infila nella serranda. Ferramenta, dice l’insegna.

“Ecco lo strunz. E bravo Salvatò, vedi che i tuoi giochini da cugghione hanno portato bene”.

Salvatore tocca la maniglia della porta, ma non apre, si volta, e il capo scuote la testa. Solo quando il negoziante è dentro la serranda, il capo annuisce, e i due scendono dall’auto.

“Salvatò, toglimi una curiosità. Col pescivendolo, cos’hai cavato?”

Salvatore non risponde.

“Te lo dico io: niente. Ci ho dovuto mandare Peppino, o quello manco ci faceva lo sconto sulle triglie. L’hai spaventato, secondo te? Chiedo, l’hai spaventato con la visita tua?”

“Mi sembrava di sì”.

Il capo alza una mano aperta e Salvatore indietreggia, si copre il volto.

“Non l’hai spaventato. E manco il giardiniere di villa Flamia, e la pasticceria sotto i portici, e il sagrestano. Non spaventi nessuno, Salvatò. Quindi evita i giochetti e vedi di darti una mossa, che io ti ho preso perché in famiglia vi serve uno stipendio, e tuo fratello per me era come un figlio. Ma lasciatelo dire, Salvatò, lui era di una pasta diversa”.

Salvatore annuisce con lo sguardo basso. È a disagio, si vede.

“Ma stai sereno Salvatò, che anche lui era indeciso all’inizio. Si prendeva carico delle disgrazie altrui. Ma poi ha capito. Questa gente qua, Salvatò, ci pigghiano po culo. E la bambina malata, e la moglie coi debiti, e i conti in passivo. E i clienti non ci sono, e lo Stato si arrubba tutto. Minchiate. I soldi ci stanno, Salvatò, e sono i nostri. Tienilo a mente”.

Salvatore annuisce e i due entrano. Il negoziante sta separando le viti a brugola da quelle a croce, e non alza lo sguardo. “Sono subito da voi” dice, con un tono neutro. Ma l’occhio gli scappa verso la porta e le mani diventano nervose, cadono viti dappertutto, la scatola finisce a terra, e Salvatore in un attimo gli sta accanto e afferra il collo, da dietro. Il capo annuisce soddisfatto.

“Pinuccio Pinuccio Pinuccio” dice poi, “quant’è che non paghi? Fammi pensare un po’. Tre mesi, giusto?”

L’ha chiesto al negoziante, ma è Salvatore che risponde, annuisce con la testa e poi colpisce l’uomo con un ceffone, in piena bocca. Quello si spaventa, ma è grande e grosso, e non lo sente davvero, fa più scena che altro. Il capo se ne accorge e si siede al bancone, scuote la testa e pigia bottoni a caso del registratore di cassa, sempre più nervosamente. Salvatore se ne accorge. Allora si guarda attorno, studia gli scaffali del negozio, finché vede ciò che gli serve. Trascina l’uomo fino a un bancone, gli chiude il polso in una morsa. Poi piglia un martello, appeso alla rastrelliera degli strumenti.

“5×5” dice.

Il negoziante lo guarda impaurito.

“5×5. Muoviti”.

“Non capisco” dice quello.

“Quanto fa 5×5?”

“25” risponde il negoziante. Ha lo sguardo di chi non realizza, e nemmeno vuole farlo.

“5×5?” chiede ancora Salvatore.

“25”.

“5×5. Più veloce”.

“25”.

“5×5”.

“25”.

“5×5”.

“25”.

“Ora pensa a un colore. Anzi no. Non ti serve”.

Illustrazione di Nora

Michele Frisia

Michele da piccolo voleva fare il benzinaio. Non c’è riuscito e così s’è laureato in fisica teorica, ha fatto l’investigatore per la polizia e poi il perito balistico. Scriveva racconti noir e sceneggiature, ma ha smesso perché non gli piaceva. Ora scrive altro.

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