Giallo mancanza

“Lo vedi, oggi sta incazzata,” mi disse mia madre accarezzando la foto sulla lapide.

Io guardavo la faccia di mia nonna e cercavo le differenze con quello che avevo visto il mese prima, e l’anno prima e quelli prima ancora e non ebbi il coraggio di dirle che, a me, sembrava uguale.

Eppure, questa cosa che i morti nelle foto cambiano espressione se qualcuno li fa arrabbiare o li rende felici, l’avevo sentita ripetere spesso: da mia mamma, da mia zia e anche dalla nonna, quando poteva ancora parlarmi.

Annuii, fingendo che fosse ovvio anche a me, ma l’unica cosa a cui pensavo era: perché proprio io non riesco a vederlo?

Al funerale di mia nonna c’era una bambina vestita da aliena. O almeno, questo è quello che ancora raccontano i parenti. 

Prima di morire la nonna mi diceva sempre che chi muore non va via, ma ci resta accanto, nella casa, nelle cose, e se ti concentri bene li senti. Ma non con i ricordi, come dicono quelli che hanno paura, li senti proprio con le orecchie. Lei, a distanza di anni, sentiva ancora i tonfi del bastone del nonno, come quando passava in corridoio. 

Io, però, ore dopo la sua morte, la nonna proprio non la sentivo. 

Mamma se ne stava seduta in cucina; papà le stava accanto e ogni volta che le veniva da piangere la abbracciava. Quando dalla porta lasciata aperta entrava un parente di cui non ricordavo il nome, e che guardandomi diceva che mi ero proprio fatta grande, allora la mamma si alzava:

“Zia, vi faccio un caffè?”

Aveva fatto così tanti caffè che l’odore mi si era appiccicato nel naso e infatti anche da grande io, il caffè, non sono mai riuscita a berlo. Mi ricorda quel giorno lì.

Alcune cugine della nonna si erano messe attorno al letto col rosario in mano. Sapevo che la nonna era ancora stesa lì, la sera prima era andata a dormire e poi non si era svegliata più, me l’avevano raccontato. 

Quando avevo provato anch’io a entrare nella camera da letto, papà mi aveva fermata.

“Non voglio che ti spaventi. Ricordatela com’era,” mi aveva detto. “Lei sarà sempre vicino a te”.

Io mi ero guardata intorno e non avevo visto nessuno. Mi ero messa seduta per terra in silenzio, ma non c’erano i rumori che faceva lei di solito quando era viva. La credenza non si apriva, nessuno canticchiava canzoni in dialetto, gli zoccoli non strisciavano sul pavimento.

A me non sembrava proprio che lei ci fosse ancora, vicino a me.

Dal corridoio sentivo la litania delle preghiere, poi a un certo punto le voci si erano trasformate e si erano messe a chiacchierare.

Allora mi alzai e sbirciai dalla porta socchiusa dentro la stanza. Vidi i piedi della nonna dritti sotto al lenzuolo e le cugine tutte intorno. Provai a infilare la testa dentro un po’ di più. Dal riflesso dello specchio dell’armadio ripercorsi verso l’alto il corpo: le ginocchia sottili, le mani rugose, immobili, una sopra l’altra, il collo teso, la bocca all’ingiù e la sua faccia.

Gialla.

Mi misi la mano davanti alla bocca per non urlare. Poi corsi in bagno, chiusi la porta e scoppiai a piangere.

Il pomeriggio dopo, mi avevano spiegato, ci sarebbe stato il funerale.

Avevo chiesto a mia madre che cosa avrei dovuto mettermi e lei aveva risposto, semplicemente:

“Metti quello che vuoi”.

Avevo tirato fuori dal cassetto un vestitino che mi piaceva molto. Ce l’avevo ancora in mano quando la voce della nonna mi risuonò nella testa:

“Mo’ ci si veste ‘e giall’ ai funerali?”

Mi guardai in giro convinta che ci fosse qualcuno, ma poi capii: l’avevo sentita.

Allora era vero! Era lì, da qualche parte. C’era ancora!

Infilai il vestito al volo, corsi in cucina, preparai un’antenna di carta stagnola che appiccicai al cerchietto e cominciai a girare per casa sperando di sentirla di nuovo, e meglio.

“Bzzz, bzzzzzz”.

Facevo con la bocca il rumore del vecchio televisore quando perdeva il canale, cercavo di prendere qualunque segnale. Anche in chiesa, vicino alla bara. Ce l’avevo accanto, almeno lì avrebbe dovuto funzionare. Forse c’era un modo per far passare la voce attraverso tutto quel legno.

E invece no.

I parenti pensavano che mi fossi vestita da aliena, lo dicono ancora, io stavo solo cercando un modo per sentirla di nuovo. Ma l’antenna non funzionava, o forse non funzionavo io.

Negli anni c’è chi mia nonna l’ha sognata, chi ha pensato di vederla attraversare la strada, chi ha sentito la sua voce. A me non è successo più. E non riesco neanche a capire dalla foto sulla sua lapide se “sta incazzata”, come dice mia madre.

Forse sono diventata una di quelle persone che hanno paura di queste cose.

Forse sono diventata una di quelle persone che non sanno più credere in queste cose.

Forse sono una di quelle persone con cui la nonna non vuole parlare.

Però ogni volta che vedo qualcosa di giallo mi torna in mente lei e, nel dubbio, qualcosa di giallo, ce l’ho sempre con me.

Magari un giorno la sentirò di nuovo.

Sissi Decorato

Sissi nasce, cresce e si laurea a Milano. Poi cambia idea e si trasferisce a Torino. Ama fare piani per il suo futuro e farli saltare; parlare di Dickens e leggere Sophie Kinsella di nascosto; i vestiti eleganti, ma solo se abbinati a scarpe eccentriche.

illustrazione di Emanuela Sandu

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