Just another

Il primo mattone, a pensarci, è stato quel meme di Twin Peaks con l’agente Cooper e Bob, nel backstage: hanno tutti e due la fronte insanguinata, ridono.

Il toptext dice: trova una persona che sia in the same things you like

Lei scherzava sul fatto che, per amarsi, metti pure che non fossero le stesse, bastava però essere matti uguali. Non alla stessa intensità, proprio nella stessa maniera. Mi è parsa un’ipotesi sensata.

L’abbiamo spiegata, un po’ di volte, agli amici. Specie quando si arrivava alla questione cronometro. Alcuni erano scandalizzati, altri dicevano ah, sì, quelle cose che vanno di moda, tipo il sesso scheduled per ravvivare la monogamia. Più o meno tutti dicevano, scuotendo o meno la testa, certo che vi siete proprio trovati.

C’eravamo trovati. Le cose che ci piaceva moltissimo fare insieme erano: sesso, mangiare etnico, camminare in montagna, le mostre di fotografia, visitare capitali europee, comprare i regali molto presto, tipo a novembre, avere sempre una sveglia di sicurezza, le raccolte punti del supermercato, specie se con i bollini da staccare.

Avevamo scoperto, passati i primi mesi, che c’erano cose che ci piacevano, ma non insieme. Lei: le sue amiche, sua madre, il teatro, il pilates, quelle specie di riunioni femministe. 

Io, be’, principalmente i trenini. Ma per non trasformarci nei nostri amici, in cui uno dei due si lamentava sempre di essere trascurato per, chessò, la palestra, la partita, noi avevamo un cronometro. Perché non tutto si poteva fare in contemporanea (comprare un modellino nuovo mentre lei era con sua madre, per esempio) quindi si azionava il cronometro, poi si sommavano i parziali e ogni giovedì controllavo se si era in pari o se, eventualmente, attuare compensazioni la settimana dopo.

È stato il bambino che ha scompaginato i piani. 

Lei ha detto che non poteva essere inserito nelle cose sue, dopo il pilates. Che dovevamo ripensare alle spartizioni. Ha detto che la stanza dei trenini sarebbe diventata la stanza del bambino. Come avevamo pensato all’inizio, d’altronde, diceva.

Le sue amiche le hanno fatto una di quelle feste che si chiamano docce bambino, non capisco perché. Il giorno dopo sulla penisola c’erano dei pannolini con dei fiocchi. Ho appoggiato i recapiti di un buon abortista di fianco al latte in polvere. Lei non ha capito, mi ha detto con sufficienza che le piaceva molto, la sua ginecologa. Le ho detto che non potevamo non avere una stanza dei trenini. 

Deve avere googlato il nome, non lo so. Io non le ho più detto niente, per un po’. So che quando ha capito, ha smesso di parlarmi. 

Quel pomeriggio ho avuto l’idea. Ho spostato tutti i regali delle sue amiche in un angolo: menomale che la stanza dei trenini è grande. Ho comprato il cemento. Le ho detto che avremmo misurato i metri come i minuti. 

Pensavo che avremmo fatto pace, pensavo che avrebbe capito che era un grande gesto d’amore perdere almeno quattro metri quadri di trenini. 

Il giorno dopo, invece, sono tornato tardi e l’ho trovata addormentata con ancora in mano il bastone con cui li ha frantumati tutti. La testa sulla pila di pannolini. 

Che fosse addormentata ha aiutato. 

Si è svegliata quando il muro era già abbastanza alto, la malta abbastanza rappresa. 

Ha pianto, ha urlato, ha supplicato, si è rotta le unghie provando a togliere dei mattoni.

La malta istantanea è davvero istantanea.

Ora guaisce un po’. Se si ricorda del latte in polvere stanotte, forse guairà ancora un po’.

Un racconto di Stella Poli

Illustrazione di Cartone

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