Quel bravo ragazzo

Mentre il caffè caldo mi brucia le labbra, ricordo quelle tumefatte di mia madre mentre scandiscono la frase che mi ha rovinato la vita: anche i mostri meritano di essere amati.   

Teo aveva gli occhi gentili e la voce bassa, con una sfumatura calda e roca, mi sono innamorata della sua voce così velocemente che – in fila da Bergmont – ho pregato che il suo viso fosse altrettanto bello. Ho sentito il suo cognome quando gli hanno dato il tavolo, era a una cena di lavoro con altri cinque uomini, nessuna fede, niente mogli. Non aveva il telefono in bella vista, quindi probabilmente non aveva figli né una madre malata. Mi sono fatta spostare a un tavolo più vicino al suo e ho chiamato la mia amica per annullare la cena. Ho chiesto al concierge di recuperarmi un classico della letteratura russa dalla biblioteca dell’hotel e ho scarabocchiato il mio nome sulla prima pagina. Ho smagliato una calza con l’unghia, per dargli qualcosa da guardare, avrebbe passato il resto della serata a chiedersi come sarebbe stato allungare quella smagliatura fino alla coscia, a pregare che non fosse già il compito di qualcun altro. 

Sono andata al tavolo da sola, ho infilato al volo degli occhiali da vista che qualcuno aveva dimenticato sul bancone del bar e mi sono esibita per lui: ho ravviato i capelli, guardato l’orologio svogliatamente a intervalli regolari e ho fatto durare a lungo un solo calice di vino. Sentivo i suoi occhi addosso, tutto il tempo. Poi, quando il suo tavolo stava per finire la cena, mi sono alzata sospirando, ho lasciato il libro in bella vista e sono andata via, ma nel farlo gli sono passata accanto e ho urtato appena la sedia sulla quale era seduto. Mi sono scusata e ho incrociato il suo sguardo per un secondo, ci ho messo dentro tutto: il desiderio e il dolore, abissi inventati e reali e lì l’ho lasciato annegare.  

Alla fine ci siamo rincontrati al ristorante, da quel giorno aveva sempre portato il libro con sé. Ci siamo frequentati per settimane, ho fatto in modo di farmi desiderare a lungo, gli ho permesso di toccarmi solo dopo il nostro sesto appuntamento. Da quel momento in poi non ha aspettato nessun permesso. Fingersi romantico e devoto deve essere stato un curioso gioco di ruolo, per lui.

Teo usava l’amore come veleno, qualcosa che in piccole dosi sembra una cura e invece ti consuma, assottiglia le pareti dello stomaco, acidifica il sangue e ti lascia stordita. Quel pomeriggio era furioso, mi aveva trovato nella vasca e aveva deciso che era tutta colpa mia: Perché nessuno fa mai quello che dico, cazzo. Si è tirato su le maniche della camicia e mi ha afferrato il collo, un attimo dopo i suoi lineamenti erano un acquerello terribile. 

Ho pensato alla mia prima immersione e alla voce calda dell’istruttore che ci spiegava le cinque fasi dell’annegamento: la prima fase è quella della resistenza, le prime boccate di acqua portano ad uno spasmo della glottide che impedisce l’ingresso dei liquidi nei polmoni. Nella seconda fase l’acqua entra nelle vie aeree sostituendo l’aria, provocando un edema polmonare. Nella terza, quella apnoica, si perde conoscenza e nella quarta la mancanza di ossigeno e l’accumulo di anidride carbonica nel sangue mandano il cuore in arresto. Nella quinta fase il cervello smette di funzionare e non esisti più.

Allora ho controllato l’istinto, invece di conficcargli le unghie nella carne gli ho accarezzato le mani e per un attimo mi sono sembrate le mie. Allora lui mi ha tirata su, mi ha baciato il viso bagnato e si è scusato, ha pianto e si è fatto dolce come il veleno. Allora io l’ho spogliato, l’ho fatto entrare nella vasca e gli ho detto che lui era il migliore, che erano gli altri a non capire niente. Gli ho versato da bere ancora, ancora e ancora, sono diventata dolce come veleno. Quando ha iniziato a girargli la testa, ho ruotato la manopola perché l’acqua gli scottasse la pelle e quando ha provato ad alzarsi, l’ho aiutato e poi l’ho lasciato cadere all’indietro. Teo ha battuto la testa e il suo sangue ha iniziato a corrergli intorno, espandendosi sul pelo dell’acqua. Mi sono scusata e ho incrociato il suo sguardo per un secondo, ci ho messo dentro tutto: il desiderio e il dolore, abissi inventati e reali e lì l’ho lasciato annegare.

Un racconto di Stefania Covella

Illustrazione di Cartone

One thought on “Quel bravo ragazzo

  1. Bravissima. Mi è piaciuto molto il ritmo che non ha lasciato spazio a divagazioni inutili. Pulito, tagliente, a tratti eccitante. Solo un dettaglio minuscolo: io non amo i “quel (giorno, pomeriggio…) qualcuno, etc. Non so bene perchè ma io li trovo fastidiosi e vaghi.

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