Agincourt

Il gruppo si dispone in cerchio.

Uno degli allievi, di solito il più tonto, si mette al centro chiudendo gli occhi. Il gruppo gli si stringe attorno.

L’allievo si lascia cadere, i compagni lo sorreggono, perché non si schianti.

Scopo dell’esercizio è allenare la fiducia.

Talvolta l’allievo si schianta.

Pochi sono quelli che non godono nel vedere un compagno schiantarsi.

Le audizioni sono in autunno, ogni tre anni.

Primo girone: monologo e dialogo a scelta del candidato, scrematura. Secondo girone, più piccolo: poesia e canzone a scelta del candidato, monologo assegnato dalla commissione, scrematura. Terzo girone, molto piccolo: dialogo assegnato dalla commissione, da preparare con un altro candidato (come fare? Arrangiarsi), scrematura. Ultimo girone, piccolissimo: sette giorni di lavoro con quattro insegnanti (tra cui Barbapapà, il boss), due testi (Il Cerchio di gesso del Caucaso di BB e Girotondo di AS), otto ore al giorno.

Scelta finale: sedici allievi, quattro uditori.

È la migliore Scuola d’Arte Drammatica del Paese (primato che perderà alla fine di quei tre anni, quando il famoso regista Barbapapà andrà a fare il Direttore Artistico altrove, ingolosito da succosi malloppi).

Stesso numero di ragazzi e ragazze, tutti intorno ai vent’anni, chi più chi meno. 

Tra i ragazzi A, B, C, D.

A e B sono belli, questo dicono i maestri e Barbapapà, che un po’ è innamorato di A. Di B si innamorano le allieve. 

D è unto e sciancato, ma quei glutei gli donano un fascino bestiale. Sarà l’unico nella Scuola a fornicare con fermezza: sedurrà sei compagne, qualcuno dice di più. 

C è un tipo. Prima del diploma si unirà con la più dotata O, che per due anni ha sognato B. A è innamorato di lei, ma non vorrei anticipare i tempi. Perché A viene dalla provincia, ma B dalla città. Perché di A si dice che assomigli a un americano, ma di B si dice che assomigli a Schubert Franz.

C e D vengono dalla periferia. Non assomigliano a nessuno. Figli di immigrati, nati nel Paese. D ha lavorato in cucina, prima di cambiare idea. C ha studiato ragioneria, non al Liceo come A e B.

Sono bravi A e B, snocciolano il testo. A è più tecnico, più duro, più maschio. B è più sensibile, più morbido, più femmina. C e D faticano a snocciolare, tanto che qualcuno tra gli allievi si chiede come abbiano guadato i gironi infernali. 

Primo anno, saggio: Giulio Cesare di WS: A farà Cassio, B farà Bruto, C un cittadino romano. Già, che faceva D?

Secondo anno, altro giro. Cambia qualche maestro. C si è allenato d’estate, cristallino quando srotola il testo. D ha smarrito i capelli, insaccando nero pelame sul bitorzolo in faccia.

Che solido B! Lui sì che fa i protagonisti in ciabatte e négligé. 

A è in crisi. Cerca l’effetto, non la sostanza, dicono, ma a lui sembra di far sempre uguale. Qualcuno spiffera sia stato stregato dal teatro d’avanguardia.

Saggio del secondo anno: I Demonî di FD, riduzione e regia a cura di Barbapapà. A nel ruolo di Stavrogin, pasticcione. D nel ruolo di Stepanovič, intrigante, se si capisse quel che balbetta. B nel ruolo di Verchovenskij, domestico. C nel ruolo di Kirillov, febbrile.

Ultimo giro, terzo anno. Stessi insegnanti del secondo. A si è tagliato la chioma, Barbapapà non apprezza, evapora quel poco di attrazione che ancora esisteva. Svaniscono carezze a forma di salsiccia e piedini in punta al carciofo. 

B è sempre uguale, lo si trova noioso. 

C ha dato tutto: il fisico scolpito, dardeggia furioso la lingua. D ha il baffo diabolico e in primavera si è trastullato con un paio di compagne. Una è innamorata del suo grugno, l’altra di B: ma non sarà che a B piacciono i maschi? Che ti frega, D ci sa fare e ha un pacco così!

Spettacolo finale, saggio del diploma: Il Gabbiano di AC. Nel ruolo di Kostia, C strappalacrime in tandem con O, la sua Nina. Dietro le quinte A palpeggia O, lei gli dice «Sto con C, sei l’unico che non l’ha capito». Lui, fissandole l’occhio, implora almeno un raspone. Lei acconsente, ma sbrighiamoci che tra poco entro in scena.

B è Trigorin e non delude, ma. Bravo eh, però. 

A in Dorn farfuglia, poca salivazione, quasi viene bocciato, rotto della cuffia. 

D è un attore kafkiano più che cechoviano. Kafka ha scritto teatro? Mah, chi lo sa, lo hai mai letto tu? 

Diploma conferito. Fine della corsa. Circolare prego, circolare.

A lavora in pessimi spettacoli, prima di perdersi. Il suo amore per l’avanguardia non sarà mai ricambiato (se si escludono gli abusi subìti da un paio di registi premiati). Alcolismo, colonscopia, colostomia. Cinquant’anni, ciao.

B si sposa e mette su famiglia. Il suocero gli compra la casa. Partito da grandi palcoscenici, ora recita comprimari in soffitta. Le bollette le paga la moglie, bellezza non pervenuta.

C folgorante fino ai trenta, le tragedie familiari lo piegano. Si trova un lavoro normale: benedetto sempre sia quel diploma in ragioneria! Sogna di mettere in scena Il Calapranzi di HP con B, del quale era amico (lui D non lo ha mai sopportato). Non torna più a recitare.

D è famoso, ci ha messo un po’. Ancora sbaglia qualche accento (molti lo amano per quello). Recita in teatri pregiati. Sì che sa ottenere succulenti contratti.

In boulangerie, una mattina, D incontra B. Abitano nell’arrondissement più esclusivo (B ci è nato, D ci è andato a vivere).

B è invidioso e ha l’alito fetente.

D gli dice «Adesso tutti sanno chi sono».

Una botola esplode, B precipita.

Il cerchio si chiude. Sipario.

Un racconto di Federico Dilirio

Illustrazione di Cartone

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