Daniele Mollica

Casa dolce casa

«Qui, c’è l’ingresso.»

«La finestra in alto dove dà?»

«Sul mio garage, ma da quando mio marito è morto, non ci vado mai. Ci tengo le sue cose per ricordo.»

«Qui, c’è la stanzetta.»

«Questa finestra invece dà sulla scala?»

«Esatto!»

«Chi sale e chi scende quindi può vedere cosa fanno le bambine.»
«Basta una tenda più scura e si risolve. E poi io ricevo poche visite. Il buon Dio non mi ha dato né fratelli né figli.»

«Vediamo il resto della casa?»
«Qui, c’è il bagno secondario con la zona lavanderia, così quando suo marito torna dal lavoro può cambiarsi e farsi la doccia. Almeno non sporca le altre stanze – disse Agata, dando una gomitata alla controparte femminile della coppia e facendo l’occhiolino a quella maschile, che continuò a restare in silenzio –. Proseguendo c’è il bagno principale con la vasca e la camera da letto. È bella grande, vero?»

«La porta-finestra dà…»

«Sul lucernario, come i bagni. Così avete luce e silenzio.»
«Le finestre sopra sono…»
«Di casa mia. Quelle al terzo piano dell’appartamento dei miei cognati.»
«Non ci vivono?»
«Si sono trasferiti dalla figlia.»
«Pensano di affittarlo?»
«C’ha abitato una coppia di sposini per un po’.»

«E come mai sono andati via?»
«I giovani sono volubili: oggi gli va bene una cosa, domani il contrario, ma passo spesso a trovarli.

Venite completiamo la visita.»

La signora mostrò alla famiglia il soggiorno e la cucina e li condusse sul balcone. Rosa, dopo aver attraversato quel lungo corridoio al buio, inspirò a pieni polmoni. 

«Che ne dite?», domandò la proprietaria sollevando un lato della bocca per simulare un sorriso.
«Alcune stanze sono poco luminose e ariose», rispose l’uomo, dando voce alle sensazioni della moglie. 

«È molto spazioso però e tranquillo. Posso farvi una piccola carezza sull’affitto: mi sembrate brave persone.»

Rosa e il marito si guardarono e fecero un segno di assenso con la testa: l’appartamento non li entusiasmava, ma potevano permetterselo. 

***

«È una torta di mele per le bambine, almeno fanno merenda con cose genuine. La piccola è magra.

«Grazie Agata, non doveva disturbarsi.»
«Vi siete sistemati?»
«Ancora c’è qualche scatolone da aprire, ma…»
«Se vuole posso darle una mano.»
«No, non si preoc…», Rosa non fece in tempo a finire la frase, che la signora si era già infilata in casa. Inforcò gli occhiali da vista che teneva al collo agganciati a una catenella simile a un rosario e iniziò a perlustrare ogni stanza. Sfiorò le coperte nella cameretta per tastarne il tessuto, raddrizzò i quadri lungo il corridoio, sistemò gli asciugamani in bagno, portandoli alla stessa altezza. 

«La cassettiera l’avete messa qui – chiese entrando in camera da letto –. La coppia di prima l’aveva messa sulla parete opposta. Secondo me, lì sta meglio.»
«Agata, non voglio sembrarle scortese, ma è tardi e devo andare a prendere le bambine a scuola.»
«Sì, certo! Tolgo il disturbo.»
La signora fece il percorso a ritroso, continuando a radiografare ogni cosa che le capitava sott’occhio. 

Rosa l’accompagnò sul pianerottolo e chiuse la porta, senza darle il tempo di dire altro. Rimase con la torta in mano: aveva voglia di lanciarla contro il muro. 

«Cosa fa: stava origliando?», Rosa aprì la porta e sorprese Agata con le orecchie attaccate al muro, sotto la finestra della cameretta.

«Ma quale origliando, non mi permetterei mai. Anzi, così lei mi offende. Ho sentito che stavate parlando e stavo aspettando a bussare: vi ho portato la posta.»
«Ma è aperta?»
«Il postino ha sbagliato e l’ha messa nella mia cassetta, l’ho aperta senza controllare il nome.»
«La prossima volta controlli prima, cortesemente. Sa che aprire la posta degli altri è un reato?»
«Un reato: che esagerata! Cosa ho fatto mai?»

Rosa sentì una vampata scoppiargli nello stomaco e risalire fino alle orecchie. Respirò profondamente, chiuse gli occhi e ribadì: «Esagerata io? Così lei mi offende. La saluto!». 

«Stasera pizza?»
«Già!»
«Ieri sera pollo allo spiedo. Comprate sempre cibo pronto?»
«Agata, non si prenda i pensieri degli altri, già le bastano i suoi.»

«Per carità, era tanto per dire!»

«Con chi parlavi?», chiese Rosa al marito. 

«Con quella scassa minchia della proprietaria, ogni volta che torno è affacciata al balcone o nella scala.»

«Te ne sei accorto anche tu? Lo fa con tutti, quando sente aprire il portone esce a controllare.»
«È impicciona, ma che ci possiamo fare!»
«Non è solo questo è che…»
«Cosa?»
«Ci sono stati altri episodi, al limite dello stalking.»
«E perché non me l’hai detto prima?»
«Pensavo di poterla gestire, ma ora non mi sento più tranquilla. Dovremmo cambiare casa.»
«Forse sei solo un po’ stanca, nervosa. Visto che le bambine sono da mia madre, che ne dici di prenderci una serata per noi.»
«Chiudi la finestra!»
«Ma che cazzo!»
«Che succede?»
«La strega era affacciata ad ascoltarci.»
Rosa si alzò dal letto, corse nel lucernario e mentre Agata scompariva nel buio del suo bagno, le lanciò una ciabatta, gridandole contro: «Lei è una pazza invadente, noi ce ne andiamo. Si tenga il suo appartamento di merda».

Rosa stava sistemando gli scatoloni nella nuova casa, quando bussarono alla persiana.
Aprì, ma non c’era nessuno. Stava per richiudere, quando vide sul marciapiede un vassoio incappucciato con carta pane e un biglietto: È una torta di mele per le bambine, almeno fanno merenda con cose genuine. Passo presto a trovarvi. Un caro saluto, Agata

Un racconto di Cosima Ticali

Illustrazione di Daniele Mollica

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