Il profeta calvo

Gesù sulla croce è un fico. Se fosse stato un pelato,

coi capelli con la zig-zag tipo Homer Simpson, 

non avrebbe convinto neanche i dodici apostoli.

«Io vi farò pescatori di uomini.»

«A-ha, però la ricrescita non la sai fa’, eh?»

Daniele Fabbri

«Uff!» Gesù si asciugò la fronte spaziosa. «Questo chiodo non vuole entrare!»

«Prendine un altro» disse Giuseppe.

Gesù sbuffò ancora e provò a infiggere il nuovo chiodo nel comò che stava costruendo. Il tonfo di un martello. Un urlo. 

«Ahia!» Gesù agitò la mano come in preda a uno spasmo.

«Che hai fatto?»

«Mi sono schiacciato un dito… Basta! Sono stanco di questo lavoro.» Gesù si alzò. «Da oggi farò il profeta!»

«Il profeta? Con quella chierica nessuno ti prenderà sul serio!»

«Mamma!» Gesù piagnucolò verso la porta di casa.

La Madonna lo strinse forte a sé: «Che succede, sciù sciù?!».

«Papà dice che non posso fare il profeta perché sono calvo.»

«Non ascoltare quel vecchio misantropo. Tu puoi fare tutto quello che ti metti in testa. Ricorda chi è il tuo vero padre!»

C’era stata un po’ di maretta quando Giuseppe aveva visto suo figlio per la prima volta.

«Maria, questo marmocchio non mi somiglia affatto» disse. «Anzi, sai che ti dico? Che è tale e quale al figlio del lattaio. Di’ un po’, Maria, per caso hai conosciuto il lattaio in senso biblico?»

«Ma che, scherzi, Giuseppe? Dal lattaio ho preso solo le mozzarelle. Tu lo sai quanto mi piacciono le mozzarelle del lattaio…» Maria si mise la collana fra i denti e sospirò.

«E com’è allora che non mi somiglia per niente?»

«Perché non è figlio tuo. È figlio di… Dio!»

Giuseppe si grattò il capo e mormorò: «Bah, finora non avevo mai sospettato che il paradiso fosse un caseificio.» 

I suoi dubbi, però, tornarono quando Gesù si fece grande: «È venuto su spennato come il lattaio…». 

A quei tempi essere calvo era peggio che essere lebbrosi. Sfravecamoth figlio di Sfranthummat era stato lapidato solo perché soffriva di alopecia. «Fai schifo! Puh! Non ti si può guardare!» gli urlò uno mentre gli spaccava la fronte con un sasso.

Un centurione pelato fu costretto a tenersi l’elmo in testa anche a casa, perché, se si fosse permesso di ostentare la zucca spennata davanti agli occhi di sua moglie, lei lo avrebbe denunciato alle autorità competenti. «Caius, o fai come ti dico o per te finisce male!» ripeteva.

Un sacerdote cercò di ovviare alle stempiature con della colla Attak e un mucchio di peli ascellari. All’inizio gli andò bene, ma quando arrivò la canicola e la colla si sciolse il suo inganno affiorò alla luce del sole, e allora venne lapidato anche lui.

Gesù, però, aveva un’altissima considerazione di sé, che risiedeva tutta nelle parole della madre: «Tu sei il figlio di Dio».

Un giorno quindi andò sul monte e cominciò a predicare: «Fate i buoni, non fate i cattivi!». Il suo dito acciaccato si agitò in aria.

«Puh, fai schifo! Copriti la boccia, palla da biliardo!» disse uno, già pronto a lapidarlo.

«E tu vorresti fare il profeta? Belin, non hai nemmeno un filo d’erba in testa» disse un avido mercante.

«Si te cade ’o cesso ’ncapa faie scopa!» gli urlò uno straniero. 

Lui scappò in lacrime e si rifugiò nel solito abbraccio materno. Maria allora lo accompagnò da un parrucchiere di fiducia: «Mi devi un favore. Ricordi, parrucchiere?».

«E chi se le scorda quelle notti a Tiberiade» bofonchiò lui mentre si copriva la bocca. Si schiarì la voce e disse: «Chiamatemi hairstylist. In cosa posso esservi utile?».

«Mio figlio qui ha bisogno di una parrucca» disse Maria.

Il parrucchiere prese le misure allo scalpo di Gesù e qualche giorno dopo gli consegnò una bellissima parrucca, nera, folta e fluente.

Gesù tornò sul monte e ricominciò a predicare, stavolta con tutta un’altra verve: «Ama il prossimo tuo come te stesso!».

«Che parole inedite!»

«Che chioma fluente!»

«Seguiamolo, dev’essere il figlio di Dio!»

Si formò un capannello attorno a lui. Poi il capannello divenne adunata e l’adunata divenne Woodstock. Gesù attraeva fedeli da tutto il mondo. Tutti volevano vedere il figlio di Dio e la sua chioma fluente. 

«Finalmente il mondo si accorge di me.»

Il lattaio, tollerato solo grazie alla bontà delle proprie mozzarelle, non si perdeva nemmeno una sua parabola e se ne tornava sempre con gli occhi lucidi: «È diventato profeta…».

Ma i profeti professionisti presero in odio la sua concorrenza: «Dobbiamo farlo fuori! Ci ruba tutti i clienti!».

«Ho un’idea! Diremo che ha usato la sua lingua per dileggiare la calvizie di Giulio Cesare, così offenderà l’onore dell’impero, e sarà più facile attaccarlo.»

I romani non la presero bene. Dire che il padre del loro impero fosse calvo era un’offesa intollerabile. Arrestarono Gesù e lo fustigarono su una collina appena fuori Gerusalemme, con l’accusa di aver dileggiato la calvizie di Cesare. Proprio per questo, quel luogo da allora in poi venne chiamato Calvario.

«Oltre al danno la beffa» disse Gesù, sotto le frustate. Poi gli misero una corona di spine, lo appesero a una croce Ikea e gli inchiodarono mani e piedi.

Poco prima che spirasse, Maria corse ai piedi della croce e disse: «Figlio mio, devo confessarti una cosa. Il tuo vero padre è il lattaio». Maria annegò fra le lacrime e scappò via.

«Merda!» disse Gesù. «Non avrei mai dovuto comprarmi questo parrucchino.»

Queste furono le sue ultime parole. Poco dopo spirò. La sua testa si adagiò sulla spalla. La corona di spine cadde e nel suo volo trascinò a terra anche il parrucchino. 

Un «Oh!» di stupore percorse la folla.

Il centurione Caius raccolse il parrucchino, lo districò dalle spine e disse: «Che chioma perfetta! Sono certo che le mani di chi ha fatto ciò hanno conosciuto Dio».

Il parrucchiere alzò la mano. «Beh, sono stato io» disse.

«Sei tu il figlio di Dio, parrucchiere» disse Caius. Il centurione si tolse l’elmo e si mise il parrucchino. La folla portò in trionfo il parrucchiere. «Chiamatemi hairstylist» disse lui.

Un racconto di Gennaro Carbone

Illustrazione di Gianmarco De Chiara

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