Il samaritano

Oh, che bel giorno! Oh, che magnifica mattinata! Son riposato e sorridente, ho voglia di cantare! Voglio abbracciare tutto il mondo. 

Esco dalla doccia enormemente profumato. Mi raso in quattro e quattr’otto.

Il completo blu è già pronto sulla sedia. Cotone vegetale. Fresco. Pulito. Stirato. Lo indosso.

Spennello una grossa quantità di marmellata sul pane in cassetta È dolce, proprio dolce, zuccherosa come me. 

Saluto la vicina dalla finestra. 

Buongiorno! Come sta? Posso aiutarla?

Massì che può. Mi butterebbe la spazzatura?

Subito signora! 

Balzo sul davanzale e mi fiondo sull’altro cornicione, atletico come un grillo. Entro dal balconcino. C’è l’umido e pure la plastica ad aspettarmi. Afferro le buste. Le sradico dai cestini sotto il lavabo e mi catapulto al portone d’ingresso. Poi piroetto all’indietro. Posso fare qualcosa d’altro? Solitamente c’è sempre dell’altro da fare nella vita.  

La cara signora mi indica un barattolo di fagioli. 

Son due giorni che non riesco ad aprirlo. 

Due giorni? Follia. Un disastro.

Perché non mi ha chiamato?! Bontà divina.

Lascio le buste. Agguanto il barattolo. Il tappo non può nulla contro la mia possente morsa. Un fischietto. Un risucchio. POP. Detto fatto. Poi sono già fuori, zic zac. Buste di nuovo in mano, scalini tre a tre. 

Proprio sopra il cassonetto dell’umido c’è un micio tutto bianco. Miagola. Ha fame. Un altro direbbe sciò. Un altro direbbe via. Ma io capisco che ha puntato gli odorosi resti di una lisca di sgombro. Squarcio la plastica oleosa. Penetro con le dita tra le frattaglie e le bucce marce. Ne traggo la lisca con tutta la testa del pesce attaccata. Gli occhi del gatto brillano. Le vibrisse vibrano. Gliela stendo sul lastricato. Lui si tuffa, la prende in bocca e scappa via. 

Butto il resto della spazzatura. Controllo l’orologio. Tre buone azioni in meno di sei minuti. Eccola. Dilaga dentro di me come un fiume in piena, mi invade le budella, corre velocissima. Dopamina. Una scarica micidiale s’impossessa del mio corpo, al punto tale che non posso trattenere gli arti. Devo ballare, saltare, correre. Mi sento un animale. Potrei sollevare un tir a mani nude. Dio, come mi sento bene. 

Col cuore gonfio, tipo una zampogna. 

Così affronto ogni giorno. 

Tengo il portone aperto per chi arriva. 

Raccolgo le cose a chi le ha fatte cadere. 

Auguro a tutti il buongiorno. 

Sono il re dei favori. Aiuto chiunque. 

Esco in strada. 

La città mi saluta. Clacson e cantieri cantano. Il cielo è grigio. Non piove. Ho ancora il sapore della marmellata di albicocche sotto il palato.

Scatto sul marciapiede. È stretto e brutto. Soffocante. Giunge dalla parte opposta una ragazza in bici. Mi appiattisco al muro. 

Grazie. 

Prego. 

Lei passa e pedala verso la sua giornata. Più contenta. Io l’ho visto. Sì, sì. Un piccolo ricciolo della sua bocca si è alzato. Sì.

Proseguo anch’io. 

Mi faccio da parte altre quattro volte. Intasco altri timidi sorrisi.

Arrivo alla fermata del bus. Un palo arancione. 

Si affianca un giovane baldanzoso. Tavoletta portablocco nella mano destra. Penna a sfera nella sinistra. Pettorina dell’Unicef. Mi saluta. Sollevo un dito e apro il cappotto. Piombano giù tutti i miei cartellini. I miei distintivi. 

Unicef.

Emergency. 

Amnesty International. 

Greenpeace.

Save the Children.

WWF

Dono a tutti.

Il giovane sbarra gli occhi. 

Ma lei è un samaritano! Un santo!

Annuisco. Troppo gentile. Ma io lo so.

Si è sempre un po’ più gentile del necessario.

Intanto arriva il bus. Verde sbuffante. 

Sto per salire. Poi lo vedo.

C’è un senzatetto accasciato sotto un portico. Su un piumino a righe sfilacciato. Sfodero il portafogli. Il poveruomo emana un olezzo di formaggio putrido. Il volto è catramoso. Una maschera di pelle spessa e lurida sotto la quale scattano due occhi neri brillanti. Da corvo. Tossisce. 

Gli allungo una banconota rossa. Tenga. 

Mi pianta addosso gli occhi.  

Rantola. 

Certo, è troppo poco. Allungo pure una banconota blu. Tenga. 

Lui ringhia. Tenga. Ne ha bisogno. 

Libera un braccio da sotto il fianco. È tutto anchilosato. Sembra uno zombie. Mi scalcia via con un piede nudo. Ringhia, impreca. 

Tiro fuori tutte le banconote che ho. C’è il rosso e l’arancio e il blu. Gliele sventolo davanti. Lui continua a scalciare. Tenga! Forza, le prenda! Di cosa ha bisogno? Vuole il cappotto? 

Mi tolgo il cappotto. La giacca. 

Vuole che le compro una stanza d’hotel? Vuole una donna? Mi dica! 

Il senzatetto ride. Si scompiscia. Si tiene il petto. Scopre le gengive marce e sanguinanti. 

Mi dica come aiutarla! Cosa devo fare? Si faccia aiutare! Io la posso aiutare!

Lui arriccia il naso. Poi scandisce bene. Non parla l’italiano. Ma scandisce bene. 

Vaffanculo

Sorrido. 

Benissimo. 

Tanto son già mezzo svestito. Mi tolgo anche i pantaloni. Mi abbasso i boxer. Lui inorridisce. 

Basta che mi si dica come posso aiutare. 

Faccio tutto. 

Piego lentamente il busto in avanti. Lascio passare le braccia tra le gambe. I passanti attorno scappano. Gridano. Anche il senzatetto strilla. Intanto la punta delle mie dita è già entrata in profondità nell’ano. Il naso cattura gli odori delle mie viscere. Mentre sono accovacciato, con tutto il sangue che mi affiora alle tempie, i muscoli che tremano, vedo i polsi scomparire. Mi schioccano le spalle. Rotte. Non so quanto ancora potrò andare a fanculo. Ma finché posso, ci vado. Eccome se ci vado. 

Tutto, pur di accontentarlo. 

Tutto, per una buona azione. 

Un racconto di Boogie Cucciniello

Illustrazione di Gianluca Iki Avella

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