L’orizzonte degli eventi

C’è un buco nero nel mio salotto. 

So che immaginarlo è difficile, perché dovreste sospendere tutte le vostre convinzioni sul comportamento della materia nello spazio e cestinare mentalmente tutto ciò che sapete (o immaginate di sapere) sui buchi neri, ma è proprio così. Lo so che vorreste dirmi che non è possibile che un buco nero se ne stia tranquillo nel salotto con cucina a vista di un bilocale in zona tre; che non esiste che un buco nero se ne stia lì, buono buono, mentre la signora Roberti del 2C, ignara di tutto fuorché di sé stessa, passa l’aspirapolvere come ogni giovedì mattina. «Non è possibile», direte voi. Ma dovete credermi.

Francamente, non lo so nemmeno io come ci sia arrivato un buco nero nel mio salotto. Avevo notato una macchiolina scura sul divano qualche tempo fa, ma ho pensato che fosse una scaglia di cioccolato, o un vecchio sbaffo di penna, e per pigrizia l’ho lasciata lì. Forse non avrei dovuto, invece me ne sono dimenticata e, ora che il buco nero ha iniziato a lambire il divano e i suoi immediati paraggi, non riesco a fare a meno di chiedermi se non avrei dovuto occuparmi di quella macchiolina insignificante. 

Me lo chiedo anche adesso che siamo qui e ci spartiamo il divano, mia moglie, il buco e io. Emma fissa la TV accesa come ogni giorno, mentre io penso a quanto vorrei spegnerla per vedere se riesco a disimparare le rime delle pubblicità. Ma non lo faccio, perché il buco nero, per quanto ingombrante, non fa mai conversazione, e carica il silenzio di un ronzio così sommesso e insopportabile che, dopo le prime settimane, ho pure fatto la visita per l’acufene. A quanto pare non era acufene, era la voce del buco nero.

Emma, sempre più assente, si muove per la casa come immersa in un liquido ipnotico: il mondo oltre il divano ha perso ogni attrattiva. Finora i miei sforzi per convincerla a lavarsi i capelli e uscire si sono rivelati inutili, e così non ho avuto altra scelta che sedermi accanto a lei, cercando di allontanarla un po’ dal buco. Inizio a temere che, tra me e il buco, mia moglie abbia scelto il buco. Stanno ancora dove li ho lasciati stamattina andando al lavoro, insieme alle tazze sporche della mia colazione nel lavello e alla ciotola di zuppa che avevo fatto per lei. L’ha messa in bilico sul pouf dove una volta appoggiavamo i piedi e le riviste, e che ora è il suo tavolo da pranzo, colazione, e cena. 

Magari è stato un documentario scivolato davanti agli occhi di Emma a far comparire il buco mentre non ero con lei; o magari quella cosa è rimasta nascosta per anni sotto il divano tra la polvere dimenticata, aspettando il momento giusto per saltare fuori. Spesso mi rifugio nella teoria secondo cui la negletta macchiolina di cioccolato è collassata su sé stessa ed è esplosa, occupando la stanza. Mi ci sono affezionata perché è l’unica in cui trovo qualcosa di evidente a cui aggrapparmi: un punto visibile sulla tappezzeria del divano che posso chiamare “l’inizio”; una macchia, a cui dare la colpa di avere (forse) innescato la sequenza di eventi che ha fatto materializzare un buco nero tra me e mia moglie. Più lo guardo e più ipotesi riesco a formulare sulla sua origine, ma, per quanto mi sforzi, non trovo risposte. Ho provato a chiederlo anche a Emma, lei doveva essere lì quando è successo: da dove diavolo è arrivato questo buco nero? Ma Emma guarda sempre la TV e non mi risponde, nemmeno se alzo la voce. Mi prenderete per pazza, ma spinta dall’esasperazione un giorno mi sono rivolta direttamente al buco: «Signor buco, perché ha voluto fermarsi proprio qui da noi?» gli ho chiesto. Speravo che se mi fossi comportata da buona padrona di casa, se l’avessi accolto e l’avessi riempito di attenzioni, mi avrebbe raccontato qualcosa di sé. Ma il buco nero se ne frega delle mie domande, e semplicemente sta. Sembra non avere nulla da dire, anche se piano piano inghiotte tutte le parole: quelle delle pubblicità, quelle di Emma, e – temo – anche le mie.

Forse avrei dovuto parlare a qualcuno del buco nero nel mio salotto prima che si trangugiasse tutte le nostre parole. Ma ho creduto che non fosse il caso di scomodare gli amici, la famiglia, o addirittura i dottori e la stampa, per un misero buco nero da salotto. All’inizio ho pensato che com’era venuto se ne sarebbe anche andato, e che quella cosa tra me e mia moglie non poteva certo essere l’entità immensa e misteriosa su cui si struggono i fisici d’oggi, dato che ci stava tutta nel nostro appartamento. Mi sa che mi sono sbagliata. C’è proprio un buco nero nel mio salotto, e tutto ciò che sono riuscita a leggere a riguardo non fa che confermarlo. Percepisco la mutata densità dell’atmosfera dentro casa. Vivo in un infinito presente in cui il divano, la TV, le tazze per la colazione e mia moglie sono sempre diversi ma esattamente dove mi aspetto di trovarli; il silenzio dilata la stanza, ma i muri si fanno sempre più vicini. È casa mia, ma di un’altra dimensione.

C’è davvero un buco nero tra noi, che prima ha sedotto Emma e ora impone a me un passo irreversibile, verso un dove inquietante. Lei è già lì; mi domando se mi stia aspettando. Io non sono sicura di volerla seguire, ma sospetto che il fatto che io me ne stia rendendo conto significhi che ormai, anche per me, è troppo tardi per tornare indietro. Non sento nemmeno più la televisione; al buio della sera si mescolano le grida brulicanti del buco nero, che straripa oltre il divano. Ci avvolge un silenzio abissale. La casa è satura del vuoto elettrico di mia moglie, ma io le siedo ancora accanto, e le accarezzo le ginocchia; la cerco ostinatamente sul fondo delle sue immense pupille. «Emma», sussurro la mia ultima parola, e poi le prendo una mano. Subito le sue dita leggere si allacciano alle mie, in un istinto che sembra prendere forma dalle profondità del vuoto. Ed è come sfiorare un’intenzione, o inseguire tutt’a un tratto un’eco, a occhi chiusi. 

Non sono una grande esperta di buchi neri, ma per come stanno le cose con quello che ho salotto, ho scelto di credere alle teorie di quei fisici che dicono che dall’altra parte ci sia qualcosa: sicuramente di diverso, forse di spaventoso, o addirittura di eccitante, ma comunque qualcosa; magari proprio un’altra Emma che sorride, un divano nuovo, o delle dita ancora intrecciate.

Un racconto di Eleonora Andrighetto

Illustrazione di Lucrezia Del Via

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