mirtilli

Con sincretismo quasi ascetico, fuggire

Mi piacerebbe sapere come sono finito a dormire con la faccia sfatta sulla Kadett di Wolfango.

L’ultima cosa che ricordo è che, sudato come un guanto, giurai a me stesso, con sincretismo quasi estetico, di sfuggire alla pratica del sesso sfrenato. È successo dopo aver letto l’sms del mio agente, che non riesce a chiamarmi, che non riesce a whatsapparmi, che mi dice corri, corri al Teatro delle Vittorie! Eh, ho letto solo ora, mi stavo rotolando sul prato con Nairobi, e il Huawei è rimasto impigliato nel nostro simulare un amplesso e nell’accumulo di immondizie sul prato. Poi un canotto con due gambe e senza labbra apostrofa che mi vide leggere Musil prima di amoreggiare in C.so Vinzaglio: il problema non sono i cani, afferma, ma gli sbronzi come te senza guinzaglio. Lo ha già detto Aphex Twin, ribatto. O Marc Overmars, di ritorno da una finale di Champions, ritocco. Ti confondi con Pires, guarda. Frutti marci della complottista, non ho tempo per le cazzate, sono in ritardo per registrare la puntata. Nel frattempo ho fatto esperienza, rappresento la regione di Pienza. A due euro compro il vino al tecnico audio, che dice di averci preso gusto. Da sobrio non registro. Non ci entro nemmeno in teatro. Tavernello o Sancrispino? San Crispino o San Crispano? Fare foto al Carrefour, e nel decanter metterci quelli del discount. Come è possibile? Questione di pancreas, sostiene il maestro di cerimonie, un terrapiattista dei Gunners. E allora corro, mi intabarro e scorgo: un assolo di chitarra non è che albume! E il tuorlo? Ho superato il provino, l’intervista cacofonica, il casting melanconico, in cui si valutava l’incapacità di rappresentare la propria città, la morbosità comunicativa, la rifrazione del nucleo familiare, la telegenia, le esperienze sensoriali. E la primordiale disponibilità del partner alla partecipazione nel programma. Ascolti in calo e assalti di demenza nel White Album, mica solo While My Guitar, versione di Joffrey Baratheon, e poi tu: Ti voglio perché mi piace la tua carica, quella del colon e della sciatica, ascolti Gadda prima di andare di corpo e speri che cuociano il corpo di Joffrey, autore occulto di Savoy Truffle, quel pezzo che comincia con Creme tangerine e finisce con Cool cherry cream, brano goloso di caramello e palinsesti semestrali, per questo nella terza stagione ha denti cotti e svalvolati? Non ci credi? Chiedi a Chopin, che gli ha fatto la festa del cervo sacro Jägermeister, dopo il servizio nel kibbutz.

In Thailandia dichiarerà: sono fatti miei, tuk-tuk!

I jeans tornano sempre nei claim e tutto svanirà quando aprirò il pacco giusto, eh Wolfango? E allora corro, sgorgo verso le Vittorie, e piango Massenzio, sconfitto al Ponte Silvio, lo giuro sulla gobba del sanguinario Vitruviano: poveraccio ’sto Assenzio, anche lui come me figlio di servi e bottegai! Ma gradirei più esser un magnaccia senza vitto che uno svampito tiranno ermafrodito. No, non è come hai detto, blatera il responsabile alla sicurezza Rai, che irretisco col ginocchio nello stagno. Cancella la frase sugli ermafroditi e lascia stare gli energumeni, urla la mia editor, minacciandomi col rigo. Poi litigo con l’assistente di produzione, che mi cinge con la lingua. Io le sgancio una paella e le brucio il barboncino. Più i ciglioni sono grossi, più il dolore è elettrizzante. Ed essere degli stinchi di manzo alle volte può non essere un vantaggio. Molto meglio che scappare insieme a Roosevelt alla ricerca di Ligotti in mattine di tenebra e ciabatte; molto meglio fare un rumore d’inferno spostando pacchi, risvegliandosi con le nocche appiccicate al volante della Kadett di Wolfango, con la editor che urla: Federico, togli quell’orrendo punto e virgola, rincoglionito!

I vili tra il pubblico preferiscono riprenderti con lo smartphone, mentre lei ti umilia: fanno gli influencer e sono tutti piazzisti, pure quelli di Abano Terme. La Rai ti reintegra nei ranghi della tua esistenza. La violenza sarà sempre esentasse, attuata col coraggio di una serpe presa a sberle. E piangi anche tu nei camerini, mentre nel parcheggio la Chevrolet di Luce Capablanca slinguazza la faccia di Kundera e «Mi fa un panino primavera, senza salad, col prosciutto di Praga, cameriera?», chiede lei. No, la vedova Menegazzi ha cambiato cognome: il politicante corretto quello sì che è una figata. Sono bei momenti, quei momenti che vorresti solo una focaccia genovese, colma di sangue a Menconico e della groviera che hai rubato (al party degli attori ronconiani) dal frigo della Capablanca. Scusa Luce, mi vergognavo a chiedertelo, preferisco denunciarmi per furto aggravato di formaggio, affronto che non sarà mai perdonato, perché conosco gli svizzeri, nascondono tutto sotto il pan di Spagna e il parnassianesimo dei mariuoli, per mandare giù bonifici e calici di marzemino: sì, amore, sono pronto a rifiutare l’offerta del correttore e andare avanti. Sorseggio il calice che ha versato prima in posta Luce con il cardinale Jules Raymond Mazarin, nato a Pescia come me, ma non ditelo a quelli della Rai, altrimenti mi cambiano regione e mi tocca difendere il pacco degli Abruzzi. Mi scusi, Eminenza, lei non pensa che l’attuale classe politica meriterebbe un passaggio in qualche lunar park gestito da Paul Pot Capasanta? Per un omaggio posso contare sul suo aiuto? Vorrei proporre la giostra nel mio show. Non lo fiuta come affare far l’amore da Medjugorje in giù?

Un racconto di Federico Dilirio

Ilustrazione di Mirtilli

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