francesco paci

SCIVOLATO

Non pensava sulla sbarra ci sarebbero stati tutti e undici, con le chiappe attaccate e le teste a spasso, ognuna col suo carico di pensieri al cantiere aperto pur ignorando fino a quando, nonostante lui, Brogio, fosse appena stato assunto grazie alla raccomandazione di zio Vince, Tu entra balòss poi qualcosa succede, che non era proprio il momento migliore per varcare Jo’burg, certo meglio che in Europa, eppure si parlava già di depressione sui giornali, qualcuno bofonchiava grande crisi scolando Amarula servita sottobanco, il presidente Mandela non sapeva che pesci prendere e chi non si dava allo sport o all’agricoltura sdrucciolava tra diamanti e carbone, come quel fioeu petto nudo e magiostrina, sogni emaciati e speranze piegate. L’addio a parenti e amici, poi le onde il vomito e la prua slittata nel molo arso a Port Elizabeth.

Era la prima settimana di lavoro. Un paio di sberle sulla spalla, lenti sacchi da spostare, niente piccone fino a nuovo ordine. Brogio fece del suo meglio, per carità, zitto e mosca, sbarcato da Lambrate con la moglie, crisi nera, né arte né parte. Si era fatto piccolo per disturbare poco a casa della zia Geena, neanche a dirlo, avrebbe dormito nella vasca ma lei e Vince sapevano cosa significava, ci erano passati, allora avevano ricavato una stanzetta in cantina, There you go ragazi meteteve aqquà no problem, con le coperte vecchie e i mobili presi a noleggio, tutto pulito e decoroso ma senza fronzoli, che il lusso se lo dovevano guadagnare, la pappa pronta non aveva mai fatto bene a nessuno e bisognava tenere la carota un po’ lontana per far correre i muli, come disse zia Geena a zio Vince quando chiusero la porta per tornare al piano di sopra.

Girava un gran caldo, di tarda mattina, ad arroventare le benne pronte al morso. Brogio era rimasto affamato e stanco sulla trave sospesa, come una domanda interrotta nel mezzo, con lo stomaco che già aveva iniziato a ragliare. Ora di pranzo ritardata a causa di un guasto ai montacarichi. Stop. Dalle spalle sentiva un vento inquieto attraversare le distese deserte lungo il Vaal prosciugato, infilandosi tra i dubbi sedimentati sulle rocce strappate alla terra dai coloni boeri, uomini donne e prole, da papaveri a fucili, la corsa delle loro pelli chiare verso i primi diamanti, le loro cùpide mani sul sangue bruno, altri diamanti grezzi, splendore di diamanti ammonticchiati su diamanti, fino alla cecità della vetta che conduce alla discesa sul crinale, l’inesorabile altalena del mondo. Brogio si agganciava al pensiero che bisognava resistere qualche tempo, in qualche modo, perché poi qualcosa sarebbe successo, croce sul cuore, da lì zio Vince ce l’avrebbe scrostato e presto il culo si sarebbe accomodato nell’ufficio di una banca giù in città con la laurea incorniciata alla parete. Non era mica un negro come gli altri, lui, meticcio di polveri e latte, anche se il caposquadra lo fissava già a cazzo duro quell’operaio secco e storto come il corno di un’antilope, Just five minutes, un breve appunto sulla cartellina e la voglia di fargli schiumare sangue alla prima occasione, astio malcelato in un attimo di zelo, avvantaggiato da un momento di debolezza, magari una nerbata di sjambok da parte degli herero sulla schiena fradicia e troppo moscia, HEY, inadatta alle fatiche disperate ma disperata a sufficienza per subire la propria porzione di ferocia ingiustificata.

Brogio frugò nel borsello per tirare fuori un involto, ebbro di gratitudine, pregustando l’affondo dei suoi denti nella mollica. La Tina gli aveva preparato un burger al tacchino, piccolo ma ben farcito, con cetriolini senape e tutto il resto, che lui comunque avrebbe mangiato pure un sasso. Cavò fuori il panino dalla carta unta, preceduto dal profumo dell’attesa, forse l’olio un po’ troppo, andava detto, ma fece attenzione quanto possibile, con calma, dopotutto non era il primo burger che scartava. Ecco, scostò i bordi con cura e afferrò il pane, coi semi di sesamo sopra, lo prese ma le dita non riuscirono a trattenerlo e quello scivolò giù, Ssshit, urlò Brogio incredulo, cauto a non muoversi sulla sbarra per conservare l’equilibrio nel vuoto. Too much oil pal, rise Lubanzi addentando un gonfio sandwich sotto l’elmetto. Brogio osservò avvilito le proprie fette separarsi nella caduta, coi pezzi di condimento che si staccavano precipitando finché diventarono puntini e poi sparirono sul fondo grigio della miniera a cielo aperto. Sbuffò di rammarico e si strinse nelle spalle ossute. Asshole, grufolò Carl con due labbra gonfie di livore. Poi da una torretta strillò forte la sirena a squarciare la pausa. Tornarono tutti a spaccarsi le mani.

Un racconto di Apolae

Illustrazione di Francesco Paci

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