La linea di mezzo

Forse dovrei dirglielo, pensa Bruno. Prima di uscirci insieme dovrei dirgli la verità. Si avvicina allo specchio, accende i faretti, afferra un ombretto color pesca e lo sfuma lungo la piega della palpebra. Con un pennellino insiste verso l’alto, stando ben attenta a non produrre una sfumatura troppo ampia. Si deve creare un’ombra, pensa Bruno. Ma che sembri naturale. Poi fruga nel beauty ed estrae una matita color mattone. Meglio qualcosa di più sobrio. Rovista ancora, ma senza guardare. Ne sceglie una biondo cenere. Questa va bene. Traccia due linee sotto gli occhi, ma a destra na fa una più sottile per nascondere il gonfiore: l’asimmetria è ancora troppo evidente. Poi applica l’eyeliner lungo i bordi e il mascara sulle ciglie. Manca solo il rossetto. Allora ne prende uno, toglie il cappuccio, passa delicatamente la parte cerosa sulle labbra e manda un bacio al suo riflesso. Prima di rimetterlo a posto, fa ruotare la base di mezzo giro, così che la punta esca di un altro mezzo centimetro, e infine disegna un cuore sullo specchio sostituendo la freccia di Cupido con un pene in erezione. Sghignazza, si guarda un po’ attorno e dall’altra parte del muro sente un acciottolio di pentole. È il padre che cucina una porzione di pasta e fagioli seguendo la ricetta consigliata da Brunetta la sera prima durante un’intervista su La7. Nanodimerda, sibila. Quando Bruno ricorda come il proprio nome sia in realtà un tributo che il padre ha voluto rendere al ministro di Forza Italia, vorrebbe recarsi davanti all’anagrafe, cospargersi di benzina e darsi fuoco in segno di protesta. Nanodimerda, ripete di nuovo. Poi torna a fissare il cuore stilizzato, afferra il telefono, apre la chat con Diana, la sua migliore amica, e le invia una foto. Sotto, digita: a Diana, la dea della caccia. Lei risponde subito: Sì, a caccia di uccelli. Sul volto di Bruno spunta un sorriso. Dopo qualche secondo il cellulare vibra ancora. È di nuovo lei: allora, come stai? sei agitata? No, non lo è. Truccarsi la rilassa, le svuota la mente. L’appuntamento con Marco, durante quella mezz’ora di meticolosa preparazione portata avanti a suon di correttori, spugnette, ombretti, lucidalabbra, pennellini e altri applicatori di cui non sa il nome e a volte nemmeno l’uso, si era dissolto. Svanito. Esistevano solo lei, lo specchio e il suo doppio. Ma ora, grazie a quel messaggio, Marco è riaffiorato in tutta la sua concretezza. Si sono conosciuti on-line solo due settimane fa e questo è il loro primo appuntamento. Andranno a cenare nella pizzeria di paese, berranno qualche birra, non troppe, ma abbastanza da rendere la parlata più disinvolta e i movimenti meno goffi, e poi, chissà, forse una sveltina in campagna o un pompino in un parcheggio. Marco ancora non sa che Bruna è in realtà Bruno, e che nonostante il primo ciclo di ormoni sia terminato, la transizione è ancora distante dall’essere completa. La settimana scorsa, con Cesare, un suo coetaneo con quindici anni di palestra alle spalle, è quasi finita in tragedia. Quando lui le ha abbassato le mutandine e infilandogli una mano in mezzo alle gambe ha trovato un pene, l’eccitazione si è rovesciata in violenza. Il ragazzo ha reagito con la furia di chi si sente adescato e umiliato. Di scatto ha ritratto la mano e le ha sferrato un pugno in pieno volto. Poi è sceso, ha fatto il giro del veicolo, l’ha afferrata per la camicetta, l’ha strattonata giù dall’auto, l’ha colpita con un calcio all’altezza dello stomaco ed è scappato via sgommando. Risultato: dieci giorni di prognosi e uno zigomo esploso come un melograno. Quando la mattina dopo il padre l’ha vista conciata così, ha capito immediatamente e, come al solito, non ha detto nulla. Si è limitato a scuotere la testa e ha continuato a bere il caffè. Ora Bruno apre il terzo cassetto del mobile principale. Afferra una parrucca bionda e la indossa. Ci traffica un po’: la sistema, la gira, la piega da un lato e poi dall’altro, pettina i capelli e poi li scompiglia, li raccoglie dietro la nuca e poi li rilascia. È indecisa. La parrucca è quella della madre guarita dal cancro dopo sei cicli di chemioterapia, ma stroncata da una recidiva solo due anni dopo. Bruno ricorda ancora l’esito della risonanza: un grappolo d’ombre nella testa della madre. Ecco, queste, diceva il medico indicando le macchie sulla lastra, non dovrebbero esserci, e in effetti, fino a sei mesi fa, non c’erano. Al posto di tre anni di chemio, quella volta bastarono due mesi di morfina. All’improvviso il suono di un clacson la riporta al presente. Guarda il cellulare e trova un messaggio di Marco risalente a qualche minuto prima: sono fuori. ti aspetto in macchina. Un lato di Bruno sa che se c’è un momento per svuotare il sacco, quel momento è ora. I precedenti dicono questo. Dicono che se c’è un momento per tutelarsi e proteggersi e salvaguardarsi dall’ennesima reazione violenta o da un uso sconsiderato della forza, quel momento è ora. Allora digita: Devo dirti una cosa. Ma un secondo colpo di clacson la fa sobbalzare. Una cosa che forse avrei dovuto confessarti prima. Terzo colpo di clacson. E che spero tu possa capire. Quarto colpo di clacson. Quinto colpo di clacson. Sesto colpo di clacson. Prima che arrivi il settimo, Bruno cancella il messaggio, ripone il cellulare nella borsetta, infila il cappotto ed esce di casa. Come ogni sera.

Un racconto di Ivan Cocchiarello

Illustrazione di Francesco Paci

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