Fango

Pros gironzola per il negozio di articoli sportivi: quattro vetrine, un settore di riguardo per il rugby. Al suo amico Renzo gli affari vanno bene. Per anni hanno giocato insieme. Quante partite magnifiche, tra mischie spalla a spalla e birre alzate per festeggiare il terzo tempo. Adesso i suoi compagni di squadra si sono tutti sistemati. Solo lui continua a sgusciare tra le maglie larghe della vita senza mai fare meta, guardandosi sempre all’indietro come quando correva con la palla ovale.

Pros si ferma davanti all’espositore degli integratori e dice: «La gente impazzisce per ‘sta roba qua… Anche noi, ti ricordi?» 

Renzo appende le tute in silenzio. 

Pros continua: «Uno che conosco ha un prodotto che è una bomba. Dentro c’è ginseng rosso e un paio di altre cosette che fan miracoli. Me ne darebbe una cinquantina di scatole. Affare sicuro. Pagamento anticipato.»

«No» fa Renzo. «Questa volta no» ripete senza guardarlo. Poi esce a fumare. 

«Perché no?»

«Perché è così» ripete Renzo. «Me mojere manda fuori di casa anca mi, se continuo a darti soldi. E adesso ti dico basta anch’io.»

«Renzo, semo amici da sempre, non puoi dirme de no.»

«Infatti, te ho sempre dato una man. Ma credi che fabbrico i schei de notte? E te fai sempre le robe a la carlona.» Poi schiaccia il mozzicone e rientra.

«Ma va’ in mona, te e la tua mojere!» gli mugugna dietro Pros. «Crepate tutti e due!»

Sale in bicicletta, la faccia scura, e pedala via.

Al bar Ketty a quell’ora c’è poca gente. Al bancone, lo zainetto sulle spalle strette, è appoggiato Andrea, il figlio minore di Renzo.

«C’era sciopero, oggi, a scuola» gli dice il ragazzo non appena lo vede.

Pros fa spallucce, con lui non c’è bisogno di giustificarsi. Si sistema a un tavolo con un bianchino davanti. Non ha voglia di parlare, ma il ragazzo gli si è subito seduto accanto. 

Normalmente Andrea gli sta simpatico, con il suo monopattino e l’aria impacciata. Ogni volta che parla del figlio, Renzo scuote la testa, soprattutto ora che il ragazzo, finito l’istituto tecnico, vorrebbe iscriversi a monate tipo lettere o psicologia.

«Lavorare in negozio coi tuoi non ti va?» chiede Pros, tanto per.

Andrea sbuffa: «Lo sport non mi interessa un granché. Vado solo a correre ogni tanto.» 

Pros sorride. «Sai che con tuo padre andavamo anche a sciare? La Gran Risa, la nera di Arabba.»

Pros intercetta la contrazione dello zigomo. Si accende una sigaretta, in attesa. 

Il ragazzo si dondola sulla sedia. «A luglio c’è la maratona a Fiera di Primiero» dice di colpo.

«La fai? È un bel posto, bella gara.»

«Son fuori allenamento.» 

«Tempo ce n’è, per tirarti su. Poi una piccola spinta e ti piazzi come niente» dice Pros.

Andrea lo fissa. Pros ha il tono pacato che usano i medici con i pazienti più apprensivi.

«Guarda che tutti si fanno aiutare. Anche ai tempi miei, che credi.» Un altro sorso. «Del resto, con gli allenamenti si arriva solo fino a un certo punto.»

«Ma non è…?»

Pros fa un sospiro. «All’estero non fanno tutte le storie che fan qui. E poi basta usare roba buona.»

 Il ragazzo deglutisce.

«Tu, Pros,» inizia «non sai se ci sarebbe qualcosa che…»  

Pros allarga le braccia. «In giro ce n’è di sicuro. Anche se non è facile trovarla… Ma se sai a chi chiedere…» Pros lo fissa a sua volta, abbassa la voce. «Costa, però. Arriva da lontano.»

«Immagino» dice Andrea. «Qualcosa da parte ce l’ho.» Drizza le spalle: «Ci terrei a piazzarmi bene. Così pa’ la smette di starmi addosso.»

Pros sta per rispondere che del suo ‘ginseng rinforzato’ gliene trova fin che vuole. Invece si trattiene. «Ce vedemo, Andrea. Ti faccio sapere se sento qualcosa.»

Mentre torna a casa sua appena fuori Abano, Pros si ferma davanti alle vasche termali di un albergo. Un addetto su un’escavatrice gialla sta rivoltando il fango maturo. L’ha sempre colpito come l’acqua sia limpida agli inizi del ciclo e si trasformi in una massa melmosa via via che procede la maturazione. ‘Anche il fango invecchia’, pensa accendendosi l’ultima sigaretta del pacchetto. 

Fosse stato un altro, non ci avrebbe pensato due volte. Andrea, invece, di steroidi e roba simile forse non ha mai neanche visto le scatole. Ma ci sono quelle dannate bollette e l’affitto arretrato.

Cosa può tirar su dal ragazzo? Tremila? Mille?

Quanti schei gli ha prestato Renzo nel corso degli anni? Prende un’altra boccata.

Anche Renzo, perfino Renzo, ora l’ha lasciato solo, in panchina.

Pros butta in terra il pacchetto vuoto, gli dà un calcio.

Il cellulare squilla più volte. Pros lo tira fuori dalla tasca dei pantaloni, di malavoglia. Sul display lampeggia un numero conosciuto. Pros deglutisce. È da più di un mese che non si sentono. Ha freddo, adesso. Alza gli occhi, vede in fondo al campo la meta, gli altissimi pali laterali e la traversa che formano un’acca, la lettera del rugby sacra come un altare. Vorrebbe chiudere la chiamata. Invece risponde:

«Dime, Renzo.» 

Dall’altro capo si avverte un respiro affannoso. C’è un cigolio metallico in sottofondo; una voce d’uomo dice di far largo, si odono le sirene che si avvicinano e poi tacciono di colpo. Pros sente l’acqua delle vasche che inizia a gorgogliare, sale sempre di più, esonda dai bordi. Il fango travolge tutto e tutto sommerge, senza nulla a cui lui possa più aggrapparsi. Mentre sprofonda, percepisce la voce di Renzo che stride come le pale dell’escavatrice gialla:

«Sei stato tu, vero?»

Un racconto di Antonella Enrica Gramone

Illustrazione di Francesco Paci

Lascia un commento