Segreti

Era solo un occhio, quello, da cui era uscita una lacrima caduta nel vuoto. Il volto del fratello le appariva così: una pagina bianca con un segno di interpunzione sbavato. Colpa dell’inchiostro della stilografica: blu notte, ancora fresco quando una mano l’aveva rovinato. L’occhio: un punto impresso con troppa forza. La lacrima: una virgola che svaniva nel tentativo di addolcirlo.

A quel viso gelido e pallido – per sempre pallido – Ilenia faceva fatica ad abituarsi: l’occhio aperto, lo sguardo immobile come la vita che non vi scorreva più davanti.

Sei proprio morto, pensò. Sei troppo morto.

Se non fosse intervenuta in tempo, la lacrima si sarebbe persa: scivolata sul lenzuolo con cui la donna l’aveva ripulito, oppure assorbita dalla pelle secca. Incredibile come il corpo se ne fregasse della morte in alcuni frangenti. Così simile a rugiada, quella lacrima l’aveva ricreata lei con un contagocce e della resina ancora fresca. Altrimenti si sarebbe asciugata con l’aria, restando una virgola sfumata e rigida, lontana quel tanto che bastava da un occhio: il punto. Era stata costretta a intervenire, a ricrearne una con un artificio, per non perdere quel pianto in cui lei aveva scorto un goffo pentimento. Era nata così quella virgola: un eterno ricordo di ciò che era accaduto in un tempo mai davvero passato – lasciar andare certe cose è impossibile, oltre che insensato – e di quel pentimento che tardi – ormai troppo tardi – era arrivato.

La ferita al petto aveva smesso di sanguinare. Un unico foro di entrata e di uscita, un unico colpo sferzato con tutto l’odio che si poteva provare. Il dolore, la rabbia, il rancore, e di nuovo il dolore. Ilenia aveva provato a cancellarlo: l’aveva ignorato, poi ascoltato e alla fine assecondato. Aveva capito che non l’avrebbe mai cambiato, proprio come succede al colore degli occhi: lo puoi camuffare con delle lenti, coprire con degli occhiali scuri, ma tornerà. Anzi: si rivelerà, di nuovo, ché certe verità possono solo nascondersi e mai mutare.

Un foro largo poco più del coltello: anche girando il manico nell’impugnatura della mano, il cerchio era rimasto perfetto. Poco più in basso, un apostrofo di sangue si era già seccato. Il punto e la virgola, pensò. Il nesso tra due cose solo in apparenza lontane e distaccate. Erano stati così anche loro due, Ilenia e suo fratello, prima che lui si prendesse una parte di lei. L’aveva rubata, poi nascosta dove nessuno avrebbe più potuto trovarla. Neppure lui.

Ilenia lasciò scivolare una mano sul corpo del fratello. Indugiò sulle spalle larghe, quelle su cui era salita tante volte mentre giocavano ai giganti. E poi sul petto, fermo. Aveva imparato a respirare seguendone il ritmo del levarsi e dell’abbassarsi. Era stato durante quel tempo, il tempo in cui lui era il suo eroe e lei la piccolina. Era stato prima che lui uccidesse entrambi, insieme alla loro innocenza.

Avrebbe dovuto provare rimorso? Sentire qualcosa – qualsiasi cosa – oltre al sangue sulle dita?

Un pertugio scuro, un rivolo di sperma che restava fermo dove lo schizzo era arrivato. 

“Ti amo, sai? Ti ho sempre amata, Ile. Io lo sapevo, me lo sentivo, che tu, che anche tu, mi amavi. La volevi tanto, quella gonna nera. Ho pensato che ti sarebbe stata bene. Avrebbe esaltato le tue gambe e vedi, Ile, proprio non sbagliavo. Ho immaginato tanto questo momento”.

Era morta così. Come sorella, come bambina. Aveva undici anni compiuti in agosto. Era l’ultimo giorno di settembre. Fuori pioveva, o forse c’era il sole. Tirava vento, ne era sicura, perché per tutto il tempo in cui lui l’aveva amata, così diceva, senza essere a sua volta amato, lei aveva fissato la danza del tessuto innanzi al vetro aperto. Avrebbe potuto urlare, mentre lui grugniva. Avrebbe potuto urlare; avrebbero finto di non udirla. Che male può fare l’amore? Che male può fare un fratello?

Doveva essersi morso le labbra nel tentativo di trattenere l’orgasmo, perché sul letto, oltre al sangue di Ilenia, c’era un’altra macchia. Era sulla federa, vicino a dove un attimo prima si irradiavano i lunghi capelli biondi. Il giorno dopo Ilenia li aveva tagliati. Il giorno dopo Ilenia aveva deciso che prima o poi anche lei avrebbe dimostrato qualcosa al fratello. Qualcosa che ricreasse quello stupido punto e virgola con cui si chiudeva il bigliettino che le aveva lasciato: “sono i segreti a unire gli amanti;”. Dietro doveva continuare con altre parole. Ilenia aveva gettato il foglio e scelto il silenzio, fino a quel giorno.

Un occhio che piange una lacrima. Una ferita che ha schizzato una goccia di sangue. Un pertugio che non ha trattenuto il seme, ma in cui il dolore è rimasto imprigionato.

Mi ami ancora?, chiese al cadavere del fratello. Gli sistemò i riccioli color dell’orzo e poi estrasse dalla scatola un fiammifero. Uno solo, la punta blu ruvida. La scintilla che si trasforma in fuoco, in lacrima, in sangue e in sperma.

Poi non furono più.

Un racconto di Serena Barsottelli

Illustrazione di Davide Fasola

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