Clic Clac

No, io non lo so proprio. Non lo so mica quando sono entrato qui. È la tana di una talpa, quella
che vedo. O forse ne porta l’odore, gli intrichi di cunicoli, la luce tonda, rarefatta. Non muove un
filo di vento. Si schiaccia densa attorno al corpo, avviluppa, ne prende la forma. E io non so
essere altro.

Per trattenere il tempo conviene schioccare le dita, ritmicamente, vicino all’orecchio: clic-clac.
Altrimenti sguscia via, si inghippa tra gli spifferi di cavolo lesso alle pareti. Non so da quanto ci
vengo, però papà mi ci porta una volta a settimana. Dice, andiamo a trovare il nonno. Io ci trovo
solo un mucchio di noia raggrinzita. Clic-clac. Clic-clac.
Lui sta nella terza stanza sulla destra. Sopra la porta, la stampa di una faccia gialla che ride. Ci
arriviamo sempre il sabato pomeriggio, dopo che ho provato a fregare mamma alitando sul
termometro, contorcendo il ventre in fittizi mal di pancia, pastrugnandomi gli occhi fino a non
vedere più. Tutto è inutile. Quando li riapro, sono sempre sotto quella faccia gialla da imbecille,
inchiodato sulla terza porta a destra, e dentro papà parla contro la vuota carcassa del nonno.
Se la prende con me, che posso sentirlo: non stare lì! Dài, vieni! Vieni a farti vedere dal nonno.
Clic-clac. Clic-clac.
Le dita nodose di nonno mi si appigliano al polso. Gli aliti chimici di collutorio mi cuociono il
volto. Le perle di bava che stilla di bocca seccano, stanno, impronta giurassica. Non lo voglio
toccare perché ogni volta sprofondo di più. Ricordo sempre meno la prima volta qui, le ultime a
casa. Credo sia colpa di nonno. Papà si congratula, Bravo, che gli fai piacere. Mi preme la
mano sul capo del vecchio, la muove a carezza pian piano. Un occhio gli rimane mezzo chiuso.
Mi pare che stia sghignazzando.
Eh, no. Non lo so proprio. Ormai tuo nonno è qui dentro da così tanti anni che non me la ricordo
mica, la prima volta che siamo stati qui.
Lo dice con una lingua viscida. Come se anche a lui, quella tana di talpa, fosse rimasta
addosso.
Tu gli dai un’altra vita, lo sai? Vederti è l’unica cosa che lo tiene con noi. Me l’ha detto anche il
dottore, oggi. Ci vorrebbe sempre con noi.
Rimugina ancora: già. Me l’ha detto anche il dottore, oggi.
Clic-clac. Clic-clac. Sempre con noi.
Un giorno, papà mi dice: torno tra poco, cinque minuti. Ma tu devi stare dentro con nonno,
tenertelo stretto. Intesi? Muovo la testa su-giù per non dispiacergli. Sono ancora sul bordo della
terza porta sulla destra.
Mi siedo sulla sedia di fianco al letto. La pelle di nonno è giallastra, coperta da una patina di
sudore. Vuoi alzarti?, gli chiedo. No, non è vero: bisbiglio, e infatti non sente. Allungo la mano
verso il suo braccio. Lui scatta!, l’afferra, se la schiaccia sul petto, al centro, un cuore cavallo
galoppa sotto il mio palmo. Può essere davvero quello del nonno? Gli occhi gli si spalancano,

me li schiaffa dritti in faccia. Muove un dito marcio, lo punta a sé, poi a me: tu, io. Noi. Sempre

con noi. Voglio schioccare le dita ma non ci riesco. Nonno tira un rapido respiro. Clic-
No, io non lo so proprio. Non lo so mica quando sono arrivato qui, su questo letto, incapace di

muovermi. A volte viene a trovarmi un uomo, si siede con me. Ha sempre dietro un bambino,
forse suo figlio. Me lo spiaccica addosso, mi chiamano nonno. È il mio nome? Il bambino
sghignazza in modo strano. Vengono, se ne vanno, ritornano; non ha importanza: il tempo non
passa più, si è incastrato da qualche parte. La nuca pizzica, sono osservato. Ricordo una
grande faccia gialla, una luce tonda, i corridoi lunghi e bassi. Sollevo gli occhi e mi imboccano
cavolo lesso, eccolo, l’odore, esce da me. Un tizio con il camice mi solleva di peso, ho una
specie di umido addosso. Mi afferra per le ascelle, mi porta nel bagno. Mi cava giù i panni come
a un bebè. L’acqua mi lava ed esce marrone. La faccia che mi guarda ha un lungo sorriso, non
so dov’è. Il bambino che mi fissa sghignazza divertito, non so chi è. E io non lo so mica, quando
sono entrato qui. Non mi ricordo nemmeno come cazzo mi chiamo.

Un racconto di Elisa Teneggi

Illustrazione di Carlo Giura

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