Certi padri

Sono passati ormai quarant’anni, tuttavia, nel giorno del mio compleanno, il ricordo si risveglia e il dolore si rinnova.

Tutto accadde per colpa della cocciutaggine di mio padre. Mamma lo pregò in ginocchio, di partire all’alba, ma lui niente. 

“Gli affari non aspettano.” 

Aveva il timore costante che qualcuno gli portasse via l’occasione del momento. E odiava trattare affari al telefono. Diceva: “La gente dimentica le promesse quando ha in mano la cornetta”. Perciò, neve o non neve, se aveva fiutato un affare, partiva.

Quella sera decise anche per me. Era arrivato il momento che io diventassi uomo. Mi ordinò di vestirmi e fare in fretta. 

“Il tempo perso non lo si recupera più.” 

Quando vide che indossavo il maglione, disse: “Bisogna temprarlo, il corpo, solo così può resistere alle intemperie della vita.” 

Scrollò la testa, aprì la portiera ed entrò in auto.    

Sfilai il maglione. Per fortuna l’abitacolo era riscaldato. 

Partimmo. 

A un certo punto, spense lo stereo e tenne una lectio magistralis sulla carne di maiale; e sul mio dovere di giovane imprenditore. 

Più di una volta dovette alzare la voce e darmi una pacca sulla spalla perché mi ero appisolato.

Ogni tanto si voltava e mi lanciava uno dei suoi sguardi indecifrabili, di solito erano accompagnati da un’insolita tensione delle labbra; la stessa e identica espressione con la quale parlava ai venditori e ai compratori e li metteva a tacere.

All’improvviso l’auto pattinò, mio padre strinse il volante fino a che le nocche delle mani non gli diventarono bianche. Grazie al cielo riuscì a rimettere in riga la sua amata Audi 80.

“Ghiaccio malefico!”

Per poco non me la feci sotto.

Aprì un po’ il finestrino, di colpo l’abitacolo diventò una ghiacciaia. Le sue ultime parole furono portate via dal vento.

Per un’oretta viaggiammo senza dirci niente. La strada era illuminata dai fanali, ma l’orizzonte era una massa nera e uniforme.

“Che succede, papà?”

Mio padre aveva rallentato.

“La benzina.” Si teneva il più possibile sulla destra. “Non capisco, avevo fatto il pieno.” Quando l’auto si fermò definitivamente, mio padre, per andare in cerca di aiuto, mi lasciò solo.

“Ma papà…”

“Metti il maglione, chiuditi dentro e stai buono e zitto.” 

Lo vidi incamminarsi e dopo qualche metro fare dietrofront. 

“Non toccare niente, scaricherai la batteria.” Tolse le chiavi dal quadro e le portò con sé.

Eravamo finiti nel nulla. Ebbe un gran coraggio a lanciarsi nel buio. 

Dopo aver preso a schiccherate l’Arbre Magique, per non so quanto, malgrado il timore che non tornasse mai più mi avesse azzannato mente e corpo, il sonno prese il sopravvento sulla paura.

Quando aprii gli occhi la prima cosa che vidi fu il verde di una manica dell’eskimo. Non capii subito che quel peso che avevo addosso era lui, mio padre. 

Scesi dalla macchina. 

Inciampai. 

Non mi sentivo più le dita dei piedi.

Un vecchio, con un pesante cappotto e una barba lunga e bianca, e un grosso maremmano al seguito, mi allungò una tazza di latte. 

“Fa attenzione” disse, scrollandosi di dosso la neve. “È bollente.” 

Guardai il corpo di mio padre, steso a pancia in giù sui sedili. Era rigido come un quarto di bue congelato.

“Devi essere fiero di tuo padre” disse il vecchio “Ti ha scaldato per tutta la notte.”

La bufera si era placata, ma c’era ancora vento, e nero e foschia tutt’intorno. Tutto era ricoperto di neve.

Un gallo cominciò il suo canto. 

Pian piano, la strada cominciò a ravvivarsi. Si videro le prime auto passare. Gli automobilisti rallentavano, cercando di capire cosa fosse accaduto. 

Ero sfinito. Profondamente. Ero rimasto tutto il tempo senza muovermi, e senza rispondere all’uomo che continuava a farmi domande.

A un certo punto, sentii i soccorritori conversare sul danno che la morte di un genitore provocherebbe ai bambini. Quando si accorsero che li fissavo si zittirono, imbarazzati.

Mentre mi accompagnarono a casa, la bufera tornò all’attacco, con maggior forza, cominciò a sollevare e divellere e distruggere tutto ciò che incontrava.   

Un racconto di Gino Ciaglia

Illustrazione di Federico Meduri

One thought on “Certi padri

  1. Racconto ben fatto ed estremamente puntuale nelle descrizioni. Per un attimo mi sono sentito con lui in auto; Ho sentito i timori, le paure, il freddo della temperatura e quello del senso dell’abbandono e del pericolo e dell’attesa. Aspetto l’uscita di un romanzo o altri racconto per vivere in parallelo nel metaverso letterario del talentuoso autore . Consiglio la lettura vivamente.

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