Venezia

Una bimbetta trotterellando per la piazza ostentava il suo gonnellino in seta in faccia ai colombi immoti con i becchi volti alle pagnotte che una vecchia spezzettava a terra. E la marea straniera e non, coi capi in protrazione verso terra, coi capi in retrazione per gustare la basilica e le cinque cupole scansava la bambina, il suo gonnellino, le miche e così si sparpagliava per le calli, cinta da laguna. Sedevo tra la ressa e la ressa mi saltava: ero nitroglicerina. Solo la bambina osava, tra un carpiato e l’altro, salutarmi con le sue manine piccole. E l’emicrania che mi spaccava il parietale si alleviava per una manciata di secondi, quando qualche forestiero mi rammentava che ero fatta tutta d’ossa. 

Per nonna Venezia era romantica; io la definivo triste. E tra me e nonna salpava un dolce antagonismo: non appena il cielo si faceva nuvoloso, mi giravo in direzione dei suoi cristallini in latte e dicevo «Ho ragione: è triste per davvero». E nonna mi stringeva amorevolmente a sé «Guarda lì» e indicava un giovanotto che baciava in bocca chicchessia. Era allora che mi facevo tutt’un tratto del colore delle more, ridevo e di nascosto non pensavo più alle tipiche melanconie dei temporali; cercavo nella folla lo sposo alla mia bambola prigioniera in un baule. Il gelo della tramontana diventava mitigato e gli innamorati raddoppiavano sugli specchi d’acqua. «I colombi sono angeli», diceva nonna. «I colombi sono spie», diceva nonna. «Omaggiano di voci chi la voce dell’amato l’ha distante». 

E mi crucciavo: mi crucciavo un po’ perché non mi entrava in testa come mille piume bastassero a far spiccare il volo a un qualsiasi uccello; mi crucciavo perché avevo solo due braccia e con due braccia il mondo non lo puoi mica attraversare facilmente; mi crucciavo perché non era chiaro come una qualche vibrazione potesse migrare tra tundre lontane se non con il solo ausilio d’Eco; non lo capivo come due amanti non si ribellassero, come pazientassero qualsivoglia forma di separazione. 

Così mentre fissavo un bacio o l’altro tentavo il découpage: la principessa che si allontana in braccio a una gondola e il principe che saluta imbronciato da sopra il molo; lei che piange, lui che ride fissando un uccello che gli ruba la voce; entrambi coi capi in protrazione verso terra, coi capi in retrazione per salvarsi gli sguardi a vicenda. I nembi si facevano sempre più neri e la melanconia abbozzava il distacco del principe e della principessa. 

«Venezia è triste, nonna», dicevo. «Venezia è romantica, bambina», diceva nonna spezzettando del pane per i colombi. E io avevo indosso un gonnellino e proprio nonna l’aveva cucito. 

Nonna amava le calli, perché quando il caìgo fitto si alzava velava una o l’altra entrata; e non si sapeva mai cosa c’era alla fine: se un uomo con in mano una rosa o un lupo rabbioso. Nonna amava il carnevale, perché sotto la maschera chissà il volto di chi ci si poteva nascondere. Nonna amava il cik ciack degli stivali nell’acqua alta, perché l’acqua alta pareva unire un po’ tutto, velare un po’ tutto.

Nonna amava gli innamorati, quelli in piazza San Marco che si baciavano e tollerava ogni forma di separazione. 

All’età di settantasei anni nonna ha accusato un forte dolore all’altezza di reni e fegato. Il cristallino da bianco si è fatto d’ocra. La luce che le si annidava negli occhi è stata smorzata da un dio, che io non conosco. 

Ero nitroglicerina, seduta tra la ressa. E il dolore era così forte da farsi silente. Era così forte da farmi scordare che il pianto esistesse. E poi, vicino a me, è volato un colombo. Non si muoveva, era immoto, tanto immoto che pareva covasse e dietro di lui un uomo baciava una donna. Una nuvola ha sganciato una goccia e poi l’altra e il colombo e l’uomo e la donna hanno continuato a covare e a baciarsi. Accanto alla bambina con il gonnellino in seta è comparsa nonna, e nonna aveva voce: parlava perché i colombi erano un po’ angeli e la voce gliel’avevano scippata nella notte, per portarla in dono a me. Venezia, alla fine, un po’ romantica lo è.

Un racconto di Camilla Corrizzato

Illustrazione di Elena Giorgiana Mirabelli

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