Giulio

Un pomeriggio di metà maggio successe che Giulio Bassi cadde malamente dalla bicicletta sulla Strada Provinciale 18, poco dopo l’incrocio con l’argine Po. Nessun malore, nessun accidente esterno: fu una grossa sbronza a guidare Giulio dritto dritto contro un pilastro di cemento. Un vecchio segugio fu l’unico che si accorse della presenza del corpo insanguinato sulla strada deserta, uggiolando piano e posando il naso tra i rombi della recinzione arrugginita. Nessuno avvertì l’urto del cranio o lo sfaldarsi del vecchio telaio della bicicletta perché il tonfo sull’asfalto venne coperto dal veloce passaggio di uno scafo sul fiume. Il corpo giaceva al lato della strada, quasi sciolto nella calura della sera incipiente, dimenticato ed indesiderato. Il segugio prese ad abbaiare più forte mentre le mosche iniziavano a molestare le orecchie di Giulio e il campanile, facendo vibrare le superfici delle cose, annunciava le diciannove: la bassa pianura di confine si stava ingoiando quel corpo e la sua memoria, stava lentamente coprendo un’esistenza che si elevava appena sopra l’erba.

Il vecchio Franco Bertocchi, infastidito dal lamento del cane, si affacciò alla finestra che dava sulla Provinciale. Era pronto a sovrastare la voce di John Wayne in “Sentieri selvaggi”  con un’imprecazione, quando si accorse della lunga figura distesa a terra: non ne fu sorpreso subito, abituato alla morte infelice di gatti e ricci al limitare della propria recinzione, poi capì che non poteva essere un animale. Un groppo di parole gli si fermò dietro il pomo d’Adamo, un brivido calò dentro lo stomaco. La musica fragorosa proveniente dalla televisione invase la stanza, coprì i pensieri e il tramonto fuori, scandì i movimenti del Bertocchi fino al telefono nel corridoio di casa.

Giulio Bassi aveva trentasei anni e lavorava la lana minerale in un’industria di Bondeno. Cuoceva gli occhi neri dietro una maschera spessa di plastica per più di otto ore al giorno,  lamentandosi poco e parlando altrettanto meno. Macinava le distanze tra il lavoro e la casa vicino a Felonica con la stessa bicicletta da anni, si fermava al Bar Zighi con un libro in mano a bere finché non si alzava leggermente alticcio. Giulio incarnava lo figura dello strambo nel raggio di una ventina di chilometri, rappresentava l’enigma tra la massa e, contemporaneamente, l’emarginato. Giulio era un grosso punto interrogativo tra agricoltori ed operai, una sorta di scheggia impazzita che non poteva essere classificata. Eppure lui non se ne curava, sorrideva lievemente e trascorreva le giornate tra il lavoro, la lettura e le sbornie.

«Chi se ne deve occupare?» una voce interruppe i vari commenti della piccola folla che era corsa dopo la chiamata del Bertocchi e che cercava di inquadrare la vita di Giulio. Il tramonto era calato oltre il Po incendiando l’umidità fastidiosa, inasprendo il canto delle prime cicale. La vecchia edicolante aveva sollevato la questione spinosa che ammutolì il gruppo di persone.

«Hai ragione» disse Bertocchi «è caduto proprio sul confine tra una regione e l’altra».

Mai era successo un incidente o qualcosa di grave lungo il confine tra le due regioni e Giulio Bassi aveva risvegliato la condanna di essere figli vaporosi a cavallo di due zone diverse. La casa del Bertocchi era l’ultimo edificio della provincia mantovana, ultima certezza dell’eredità gonzaghesca poco prima di una brusca virata a sinistra del fiume per gettarsi in terre emiliane. Il banale confine istituzionale, enfatizzato da una lieve inflessione delle vocali, non era mai sembrato così terribile.

Il gruppo che sovrastava il corpo di Giulio si stava perdendo in ragionamenti paradossali dimenticandosi della striscia di sangue che imbrattava l’asfalto.  Le loro voci richiamarono gente sui balconi, qualche auto si fermò, la nettezza urbana frenò all’improvviso per curiosità. La gente indugiava, guardava Giulio, ne capiva vagamente i contorni e poi s’immetteva nella discussione fino ad arrivare ad una manifestazione d’insofferenza per le zanzare e il governo. Indifferenza, oblio e calura sembravano non solo le caratteristiche delle folle di un paese intero ma anche le linee guida della vita stessa di Giulio.

Era un bravo ragazzo! Ma sicuro che sia lui? Che spreco spiaccicarsi contro il palo della luce!

Io non l’ho mai capito quello lì!

Un racconto di Valentina Grazzi

Illustrazione di Marco Pellino

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