Schiavitù

Mi sa che il termostato era rotto perché là dentro si soffocava. Quelli che stavano seduti in cerchio c’avevano le facce che sembravano le maschere paonazze con le guance gonfie che si vedono nel video di Basket Case. Io dopo cinque minuti che stavo là dentro sentivo il sudore delle ascelle che evaporava impregnando il maglione e mi sentivo pizzicare dappertutto. Il primo che si era alzato aveva detto che non beveva da ventinove giorni e tutti a battere le mani. Ormai toccava a me perché non c’era rimasto più nessuno, allora presi coraggio e mi alzai. Guardavo un punto sul pavimento davanti a me a circa un metro, mi misi le mani nelle tasche infilandole più in fondo possibile, spostando il peso da un piede all’altro che sembrava quella volta all’assemblea di istituto che chiesi a Jessica di ballare e con questa immagine nella testa lo dissi: «Ciao, mi chiamo Giancarlo e sono quattro giorni che non uso il Viakal». Lo dissi tutto d’un fiato e mi ributtati sul sedile in similpelle verde con l’imbottitura in poliuretano espanso, e giù a battere le mani pure a me. Continuai a guardare per terra per non vederli in faccia tutti quegli schiavi di qualsiasi cosa, che facevano una vita di merda pure loro e tutto quanto, ok, sì, ma di sicuro li faceva ridere ‘sta cosa che non potevo fare a meno di spruzzare il Viakal ogni volta che usavo il lavandino del bagno, la doccia o il lavello di casa mia.

L’anno scorso mi ero fatto venire la faringite perché avevo spruzzato il Viakal in tutto il bagno prima di restituire le chiavi alla proprietaria della casa che avevo affittato in piazza Dalmazia. Non volevo fare figure di merda facendole pensare che ero uno che non puliva, spruzzai tutta la doccia mentre c’ero dentro, vestito, poi aspettai pochi minuti e passai tutto con la spugnetta gialla che era del bagno, da non confondersi con quella fucsia che ci pulivo la cucina, mi raccomando. Insomma da quella sera iniziai ad avere la tosse, dopo un mese pensavo che fossero giunti i miei ultimi giorni di vita così andai dal dottore e cercando di ricostruire la faccenda mi disse che potevo aver inalato qualche sostanza che mi aveva causato l’irritazione. Lo capii subito. Era stato lui. Era stato il Viakal. Da quella volta quando pulivo il bagno mi mettevo la mascherina e gli occhiali di plastica della piscina. Ma adesso ho dovuto smettere perché la cassiera del supermercato dove faccio la spesa che è la nipote dello psicologo della mutua da cui mi reco per risolvere i miei problemi di ansia gli ha detto: «C’è uno che fa la spesa tre volte a settimana e due volte su tre compra il Viakal». Insomma ve la faccio breve, dopo una serie di indagini lo psicologo che era professionalmente incuriosito da questo tipo fissato col Viakal, ha scoperto che ero io e un lunedì quando sono entrato nel suo studio alle 15.20 non ha esitato a dirmi: «Se hai un problema di dipendenza me lo devi dire, è il primo passo verso la guarigione». All’inizio non volevo, ma poi poco prima dello scadere dei 50 minuti di seduta ero stremato dalle sue domande incalzanti, forse è stato addestrato dagli israeliani, in pratica gliel’ho dovuto dire: «Sì, sto a ròta de Viakal». È per questo che adesso il giovedì sera alle 21.00 devo frequentare gli incontri del gruppo di auto-aiuto che si tengono nello scantinato della chiesa del mio quartiere.

Devo dire che dopo la prima volta è andata sempre meglio, l’ho detto anche allo psicologo e sua nipote gliel’ha confermato, perché adesso quando vado al supermercato compro solo prodotti alimentari. A casa faccio venire un addetto alle pulizie una volta a settimana in modo da evitare le tentazioni, mi sta costando un po’ ma con i soldi che risparmio non comprando tutto quel Viakal ci vado quasi in paro. Insomma sto avendo delle grosse soddisfazioni e presto sarò guarito.

Stasera sono tre mesi che frequento il gruppo e ho sentito dire che mi daranno un premio per la mia diligenza, per il grande risultato ottenuto, e penso anche per incoraggiarmi a continuare sulla buona strada. Quando sono entrato erano già tutti in cerchio, io non mi sono nemmeno messo le mani in tasca come al solito, ormai ho preso coraggio. Il primo a parlare è stato Saverio che si sta disintossicando dai grassi saturi, ha detto che oltre a sentirsi meglio ha perso anche ben 650 grammi nelle ultime tre settimane e tutti a battere le mani commossi. Poi ha iniziato a parlare Gisella che con le lacrime agli occhi ha detto quanto si sente bene, che ormai non è più schiava del paracetamolo, allora mi sono alzato perché c’avevo la vescica al limite. In fondo alla sala ho chiesto a una donna delle pulizie se mi poteva indicare il bagno perché non c’ero mai stato. «In fondo a destra» mi ha detto lei facendo segno con il dito. Vabbè è un classico, ci potevo pure arrivare da solo. Appena arrivato davanti alla porta avevo già il pollice e l’indice che reggevano la zip dei jeans, stavo per scoppiare. Faccio per entrare nello spazio dove c’è la tazza e con la coda dell’occhio vedo il lavandino e al centro del lavandino vedo il rubinetto e il rubinetto è di acciaio ma non si capisce nemmeno più se è di acciaio da quanto calcare c’è sopra. Mi blocco un attimo, mi guardo nello specchio e non ci vedo la mia faccia. Corro fuori, incrocio la donna delle pulizie, sbatto addosso al carrello coi prodotti e gli utensili che lei utilizza per svolgere il suo lavoro, per svolgerlo di merda aggiungerei, afferro il flacone di Viakal, è quello senza spruzzo ma sticazzi, le strappo dalle mani la spugnetta verde con cui finge di lavorare, rientro in bagno, rovescio il flacone sopra il rubinetto, con tutte e due le mani lo schiaccio, pssshhh, mi guardo nello specchio, mi riconosco. E rido.

Un racconto di Mara Abbafati

Illustrazione di Angelo Policicchio

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