pus s. m. – liquido che si forma nel corso di alcuni processi flogistici

Al di là del vetro sporco, mucchi di cadaveri biancastri, in disfacimento, e poi il caldo soffocante, rumori disgustosi e spaventevoli, la puzza, rimbombi lontani, come in una grotta di carne. Nel locale, devastato dalla guerra, abbandonato, l’ufficiale stava appoggiato al bancone e fissava la strada. Riprese fiato, poi si mise a tamburellare con le dita bottiglie impolverate, rotte, vuote. Trovò un distillato di pregio, guardò i bicchieri sporchi e decise di farne a meno.

Un rumore forte e ovattato, come di grida, poi la vibrazione intensa che saliva dal pavimento, attraverso gli stivali, alle ginocchia. Si girò verso la strada. I suoi uomini stavano cadendo uno dopo l’altro, la battaglia, forse la guerra, perse. Nella sua carriera aveva distrutto interi corpi d’armata, e così suo padre, e suo nonno, e il padre di suo nonno prima di loro. Generazioni dedite alla guerra, un ceppo nato per la vittoria. Nella vostra famiglia siete tutti uguali, diceva qualcuno, sembrate la fotocopia uno dell’altro. Come se ci fosse qualcosa di sbagliato. L’ufficiale buttò giù una sorsata lunga. Aveva sempre fatto il suo dovere contro avversari disposti a immolarsi, solo per fermare una carica o impedire un’infiltrazione in profondità. Esaltati, coi quali non era possibile discutere, intavolare un negoziato, raggiungere un accordo: la tua vita o la loro, attaccare e vincere, o sparire.

Uno schianto dal retro del locale. L’ufficiale si guardò attorno, poi mosse con leggerezza i piedi sul pavimento accidentato e in tre passi silenziosi raggiunse la parte opposta della sala. Nascosto nel buio, in posizione da combattimento, vide due soldati che entravano. Uno ferito, in modo pareva grave; il compagno lo sorreggeva; lo posò a terra vicino al bancone e si voltò, come a controllare di non essere seguito, poi si appoggiò alla parete, esausto. Solo a quel punto l’ufficiale uscì dall’ombra, quel poco che bastava per essere veduto.

Colonnello! esclamò il ferito cercando di alzarsi. L’altro militare scattò sull’attenti.

Riposo, soldati. Che ne è della vostra unità?

I due abbassarono lo sguardo.

L’ufficiale fece un passo e porse la bottiglia.

Ai caduti, disse, facendo segno di bere. Il soldato in piedi buttò giù una sorsata generosa e aiutò il compagno a fare altrettanto. Poi fece per restituire la bottiglia all’ufficiale. Però esitava e il colonnello se ne accorse.

Vuoi sapere cos’è andato storto? Lo vorrei anch’io. La carica era ben congegnata, abbiamo puntato allo Schwerpunkt, avanzavamo su tutti i fronti e il loro corpo d’armata vacillava. Ma l’urto iniziale non è bastato, non li abbiamo squilibrati e sono riusciti a organizzare una risposta. E adesso, lo vedete anche voi, sono ovunque. C’è qualcosa, in tutto questo, qualcosa che…

Armi chimiche, disse il soldato ferito.

Poi, come per timore di non essere creduto, lo ripeté.

Hanno le armi chimiche…

L’ufficiale contrasse la mascella, la stretta sulla bottiglia avrebbe infranto il vetro, se solo i muscoli della mano non fossero stati provati da giornate intere di combattimento. Guardò a fondo i soldati negli occhi, il sudore colava sui volti di tutti, toglieva le forze, impastava i movimenti.

È sempre peggio, sussurrò.

E riprese a bere.

Una stirpe di guerrieri, in prima linea, ogni volta; al fronte, in ogni battaglia; traboccanti della gioia e dell’urgenza di sfondare gli sbarramenti nemici. Generazioni di ufficiali pronti alla carica, forse uguali di padre in figlio, ma uguali in maniera positiva: onore, coraggio, dedizione. E ora? Sarebbe davvero tutto finito solo perché il nemico giocava sporco? L’ufficiale aveva voglia di sedersi. Non capiva più il mondo “evoluto” che gli stavano imponendo, tutto informatica e virus, un mondo dal quale sembravano spariti i valori di un tempo.

Colonnello, disse il ferito, vede la struttura là in fondo, dopo quel mucchio di cadaveri?

L’ufficiale strizzò gli occhi stanchi, guardò a lungo, poi annuì.

Se la raggiungiamo, continuò il soldato, potremmo riprodurci. Sembra il posto adatto dove trovare le risorse…

L’ufficiale si concentrò.

Siete in due, disse, fra un’ora sareste in quattro, al calare della notte sessantaquattro, domattina più di ottomila. Non molti, certo, ma sufficienti forse per un’offensiva di riavvio.

Il ferito, alzatosi da terra, si avvicinò al compagno. Cercava di stare dritto. L’ufficiale ne aveva visti tanti come lui, il sorriso sulle labbra, occhi senza paura mentre venivano falcidiati da nemici senza morale, integralisti in bianco con un sistema di difesa rapido ed efficace. Tornò a guardare la strada. Cadaveri ovunque, un magma cereo e puzzolente in cui poteva, ancora per poco, distinguere tra i corpi schifosi degli avversari quelli dei suoi soldati, dei suoi caduti, il loro disfacimento in un liquido denso e purulento. Macerie, rovine, di una guerra ormai decisa, di una difesa che, grazie alla chimica, aveva quasi vinto.

Potete farcela, disse ai soldati. E lo disse nascondendo quasi del tutto un sorriso, che gli faceva capolino sul volto, il sorriso di chi ha visto battaglie anche peggiori ma ne è uscito vivo.

I due soldati, giovani come può esserlo solo chi non dà la giusta importanza alla vita, si avvicinarono all’uscita. Quello ferito zoppicava, ma sciolse le spalle e guardò il compagno. Si preparavano a correre.

Quando partirono il colonnello spense quel sorriso finto, e un velo, come di lacrime, gli coprì gli occhi. Fu solo un istante. Correvano, cercavano di evitare gli invasati, che però erano ovunque, i due correvano e correvano, forse ce la potevano fare, forse si potevano davvero ribaltare le sorti di quella battaglia impari, di quei morti falcidiati dall’industria farmaceutica. Correvano, e corsero, finché gli fu possibile. Poi caddero.

L’ufficiale, con gli occhi di nuovo secchi, finì la bottiglia e la ruppe contro il grande specchio della sala. Poi agguantò una sedia e la gettò davanti all’ingresso del locale. Si asciugò col dorso della mano la fronte madida e il collo appiccicoso. Allacciò il colletto e uscì. Una bottiglia nuova nella mano, non buona come l’altra ma sarebbe andata bene. Tracannava a sorsi larghi quando i primi invasati, nelle loro uniformi bianche e putride, intenti a colliquare ciò che restava dei suoi uomini, lo notarono. L’ufficiale sorrise. Il suo destino era segnato ma altri, come lui, più forti di lui, sarebbero tornati. Non era la fine della guerra, era solo una battaglia. E nemmeno così importante.

Illustrazione di Gianmarco De Chiara

Michele Frisia

Michele da piccolo voleva fare il benzinaio. Non c’è riuscito e così s’è laureato in fisica teorica, ha fatto l’investigatore per la polizia e poi il perito balistico. Scriveva racconti noir e sceneggiature, ma ha smesso perché non gli piaceva. Ora scrive altro.

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