Lucille

Me la ricordo così, la mia piccola Lucille, la mia piccola, cara Lucille, la mia bambina con le trecce bionde, me la ricordo distesa nella bara. Al funerale sono venuti tutti, e piangevano e dicevano povera piccola Lucille, così giovane, così dolce. Aveva la bocca cucita con un filo rosa e un rossetto color mattone opaco. Per lei la morte è stata un sollievo, e anche per me, perché la mia Lucille ne ha passate tante. Ha smesso di soffrire, la mia Lucille, finalmente ha smesso di soffrire, e ora è sottoterra e non piange più. Se dovessi dire qual era la sua malattia, non saprei da dove cominciare. Neanche i medici l’hanno capito. E di medici ne abbiamo visti tanti, io e Lucille, specialmente nell’ultimo anno.

È sempre stata malaticcia, la mia Lucille, fin da bambina. Un giorno aveva mal di pancia, il giorno dopo mal di testa, poi ancora la nausea, e così via. Ma era ostinata, la mia Lucille, e anche se stava male, anche se non riusciva ad alzarsi dal letto voleva andare a scuola, voleva andare dalle sue amiche, voleva partecipare a quelle festicciole, a quei ridicoli compleanni. E non era facile convincerla, non era facile convincerla che mi sarei presa cura di lei giorno e notte, perché questo era quello che facevo, e non mi pesava, non mi pesava proprio, perché lei era la mia piccola Lucille e io ero la sua mamma, e una madre sa che cosa è meglio anche se nessuno glielo insegna.

E quindi stai a casa Lucille, fai la brava, non vedi che non stai in piedi, non capisci che non sei come le altre bambine, fai la brava e vai in camera tua, e smettila di fare i capricci, smettila di piagnucolare, Lucille, non serve a niente, e vedrai come sarà bello avere la mamma accanto a te: ti misura la febbre e ti prepara la minestra e ti dorme accanto.

Lucille è sempre stata malaticcia, ma l’ultimo anno si è aggravata così tanto che occuparmi di lei è diventato un lavoro a tempo pieno. Aveva tredici anni, la mia bambina, solo tredici anni, la mia piccola Lucille, e naturalmente voleva uscire, e aveva tutte quelle cose per la testa, tutte quelle cose stupide, e sul suo diario scriveva di un ragazzo, un ragazzo che le piaceva, ma tu non sei come le altre, Lucille, tu non puoi uscire e vedere i ragazzi e fare tutte queste cose, tu sei malata, Lucille, e con questo diario abbiamo chiuso, abbiamo chiuso, bisogna pensare a guarire.

Ma lei non guariva, la mia Lucille non guariva, anzi, peggiorava. I medici non capivano niente, ma questo non mi stupiva affatto, perché Lucille era mia figlia, e solo io capivo, solo io che l’avevo portata dentro di me sapevo come stava, e Lucille stava male e non sarebbe guarita, io lo sapevo che non sarebbe guarita, e siccome sapevo che non sarebbe guarita, i discorsi dei medici mi parevano insensati. Mi dicevano che era strano, era tutto molto strano, era strano che Lucille avesse quei sintomi, era strano che vomitasse, era strano che non si reggesse in piedi, erano strane le convulsioni, erano strane le analisi del sangue, il suo sangue era strano, la febbre era strana, è un quadro clinico molto complicato, signora, proprio incomprensibile, non si capisce niente, non sembra nulla di organico, eppure gli esami non vanno bene, non vanno bene per niente, dobbiamo cercare di capirne di più. E lei è così brava, signora, lei è una mamma perfetta, e non si preoccupi che Lucille guarirà, la sua bambina guarirà, ma io sapevo che non era vero, io sapevo che Lucille non sarebbe guarita, io sapevo che presto se ne sarebbe andata, io sapevo che presto te ne saresti andata, Lucille, io sapevo che ti saresti addormentata tra le mie braccia.

E mi dispiace se hai sofferto, Lucille, ma tutto quello che ho fatto era necessario per cercare di guarirti, e anche se sapevo che non sarebbe servito a nulla, io l’ho fatto lo stesso: le iniezioni erano necessarie, lo sciroppo era necessario, la minestra era necessaria, e lo sai anche tu, Lucille, lo sai anche tu che quando obbedivi allora andavamo d’accordo, lo sai anche tu che io lo facevo solo per starti vicina, solo per aiutarti a stare meglio, solo per prendermi cura di te.

E anche i medici l’hanno detto, anche i medici hanno detto che ero una brava mamma, e non guardarmi così, Lucille, lo sai che ti volevo bene, lo sai che eri la mia bambina, la mia piccola Lucille con le trecce bionde. E smettila di fissarmi, mi fai paura, lo sai che non è colpa mia, io ce l’ho messa tutta ma non è servito, perché tu di guarire non volevi saperne, tu sei una piccola serpe, Lucille, e non è colpa mia se stavi sempre peggio, non guardarmi così, Lucille, lo sai bene che è stata una disgrazia. Smettila di sorridere, Lucille, vattene via, non voglio più vederti, io non c’entro niente, io volevo solo curarti, volevo stare con te, volevo che fossi la mia bambina, ed è solo colpa tua, Lucille, perché sei una bambina cattiva, non volevi stare con me perché sei una bambina cattiva, e allora sì, Lucille, le iniezioni, la minestra, lo sciroppo e tutto il resto.

 Ma cosa importa, Lucille?

Cosa importa, se poi ti stavo accanto?

Cosa importa, se poi tornavi a essere la mia piccola, cara Lucille?

Un racconto di Giulia Sara Miori

Illustrazione di Incorrect

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