Luci al neon

“Pronto? Signora Mizaya?” chiesi.

Dall’altro capo calò il silenzio. Stavo per dire qualcosa, ma riagganciarono subito. Rimasi per un po’ in ascolto, ipnotizzata dal bip continuo e intermittente della linea; posai il ricevitore e guardai l’ora: erano le tre di notte.

Stavo dormendo profondamente quando il telefono squillò; capii subito che quella non era una chiamata di piacere; cominciai ad agitarmi non appena sentii quelle parole appena sussurrate. “Yuki è scomparsa”.

Quella frase rimbombò nella mia testa a lungo. Avrei voluto richiamare la signora Mizaya, impedirle di riattaccare, pregarla di dirmi di più, ma non riuscivo a pensare a niente; mi alzai da terra riponendo malamente il futon e andai in cucina.

La stanza era circondata da ampie finestre che davano sul giardino del condominio. Una macchina illuminò la strada per un istante: appoggiata al vetro, seguii con lo sguardo la scia luminosa dei fanali. Mi preparai un caffè bollente e aspettai.

Fuori pioveva, una pioggia leggera e persistente. Strinsi la tazza fumante tra le mani e rimasi accoccolata in quell’atmosfera, pensando a Yuki.

Mi ero trasferita in quella zona per motivi di lavoro: avevo trovato un part time in un piccolo negozio di fiori a due isolati da lì, e fu una fortuna affittare quell’appartamento. Quando Yuki venne a saperlo ne fu entusiasta, perché adesso abitavamo nello stesso quartiere e saremmo state più vicine. Con Yuki ci conosciamo da sempre: siamo nate lo stesso giorno, abbiamo frequentato le stesse scuole, i parchi, le spiagge, gli amici, e giocavamo nella stessa squadra di pallavolo.

Una settimana fa avremmo dovuto incontrarci al bar del signor Kuzuma, ma con mia grande sorpresa non si presentò all’appuntamento.

Provai a telefonarle più volte, ma la linea sembrava staccata. Era tutto molto strano: il giorno dopo decisi di presentarmi a casa sua per accertarmi che stesse bene.

Abitava in una graziosa villetta a due piani, tra le più belle del quartiere. Quando sua madre mi vide, non sembrò molto felice: disse che Yuki aveva la febbre e necessitava di riposo; mi liquidò frettolosamente con la promessa di farmi richiamare non appena fosse guarita.

Tornai a casa pensierosa: non dubitavo della sua malattia, e conoscevo i modi inopportuni della signora Mizaya, ma trovavo inspiegabile che non mi avesse scritto nemmeno un messaggio. Non era da lei.

Quella notte riconobbi la voce della madre e capii quanto doveva esserle costato telefonarmi. Non l’aveva fatto per me: cercava solo risposte, conferme, esitazioni. Qualcuno a cui dare la colpa. Un capro espiatorio. Era forse un caso che con il mio arrivo lei fosse magicamente scomparsa? Tra le righe sembrava avesse voluto dirmi “Sei stata tu, qualsiasi cosa le sia successo, tu ne sei responsabile.”

Chiusi gli occhi e inspirai a pieni polmoni: sentii un tenue bruciore al naso e lungo le tempie. Dove sei finita Yuki? Cosa ti è successo?

Riaprii le palpebre e guardai fuori. Un grosso camion illuminò un cartello pubblicitario dall’altra parte della strada; l’immagine ritratta catturò improvvisamente la mia attenzione: riuscii a leggere il titolo di un bel rosso acceso. “WorldBlogNew”. Strano nome. Eppure mi suonava familiare. Posai la tazza sul davanzale e ripetei nella mia testa. WorldBlogNew. Fissai impietrita le lettere svanire nell’oscurità. Ma certo.

Corsi subito in camera a recuperare il computer portatile, lo accesi e iniziai a battere velocemente sui tasti pregando che la linea internet funzionasse; lo schermo splendeva d’un azzurro luminoso.

Non sembrava intenzionato a partire; diedi una botta sulla tastiera e lanciai un insulto alla finestra colorata. Muoviti maledizione, pensai.

Il pc fece uno strano brontolio: apparve dal nulla la barra di ricerca. Senza perdere tempo, digitai il nome della pubblicità. WorldBlogNew era un famoso sito di incontri a cui Yuki era iscritta da circa un anno. All’inizio lo aveva fatto per gioco, ma nell’ultimo periodo ne era ossessionata, non parlava d’altro, come se la sua anima fosse stata assorbita da quel mondo.

Trovai il suo profilo e cominciai a scorrere le immagini. Speravo di trovare un indizio, un contatto, qualsiasi cosa. Foto al mare, foto col cane, foto in divisa da pallavolo, foto con un cocktail. Poi fermai tutto. Qualcosa non tornava.

Tra la foto di lei in camera da letto e quella in montagna c’era un’altra immagine. Lo scorrimento era rapido, sembrava non contemplarla: ma io la vedevo, anche se per una frazione di secondo, sapevo che era lì.

C’era uno strano effetto fluorescente, simile alle luci al neon dei locali notturni. Quella scia semitrasparente teneva le due immagini legate; tentai di estrarla con qualche trucchetto e alla fine ci riuscii: la allargai il più possibile sullo schermo e a un certo punto la vidi chiaramente: Yuki, luminosa come quelle insegne. Yuki sulla riva di un torrente.

Non so perché, ma tirai un sospiro di sollievo. Pensai fosse un errore del sistema, magari un bug del sito. Poi, accadde qualcosa. Yuki si gira e mi sorride. No, non stavo sognando. Si stava muovendo. Era come un video, una qualche scena estrapolata da un vecchio film. Yuki con un vestito bellissimo, candido come la sua pelle. Yuki che mi saluta e si volta. Yuki che si getta nella corrente. Yuki che scompare.

Rimasi in silenzio, tremando tutta. Cliccai di nuovo. Mi concentrai per osservare meglio le foto. Yuki in montagna. Poi la camera di Yuki. Vuota. In mezzo, più nulla. Yuki non c’era più.

Chiusi il computer e mi allontanai, andando a sedermi in veranda. La gatta uscì dal suo nascondiglio e mi seguii, sdraiandosi accanto a me. Fuori aveva smesso di piovere, le nuvole si erano aperte mostrando un cielo ricoperto di stelle. L’aria era umida e fresca.

Sospirai, guardando verso l’alto e provai a sfiorare la luna con le dita: chissà se la sua luce era in grado di raggiungerla.

Un racconto di Arianna Cislacchi

Illustrazione di Alessia Arti

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