In the basement

Cosa Jonathan andasse a fare in cantina, tutte le sere, era per Bessie un enigma. Aveva cercato di indagare, senza mostrare troppo interesse, ovviamente, ma lui aveva dato sempre risposte vaghe. Poi una volta le aveva proposto di scendere con lui. Lei lo aveva guardato sospettosa.

     – Dovresti prima spiegarmi cosa mi aspetta, non ti sembra?

     Lui era stato di nuovo evasivo, e questo l’aveva molto infastidita. Alla fine Bessie aveva rifiutato, per quella reticenza che non comprendeva, e aveva smesso d’indagare: se lui voleva fare il misterioso, lei certo non voleva dargliela vinta e mostrarsi curiosa, e la cosa era finita lì. Quell’attività, qualunque essa fosse, aveva comunque un ottimo influsso su di lui. Le rimostranze del marito sulle sue scelte televisive, una delle cause più frequenti dei loro litigi, erano diventate via via più fiacche, prive della solita animosità, quasi fossero solo un’abitudine. Rimaneva a fissare lo schermo per una mezz’ora, in silenzio, e alla fine sgattaiolava nel suo nuovo rifugio. Da un po’ era diventato insolitamente silenzioso, come se avesse un pensiero fisso. E ultimamente, scendeva in cantina sempre più presto; mangiava qualcosa in fretta e poi scompariva lungo quei gradini mal illuminati, con il suo odioso passo strascinato, lasciandole il monopolio del telecomando. Una vera fortuna!

     Nei giorni successivi però un’irritazione cominciò a crescerle dentro. Jonathan si era accaparrato l’uso esclusivo di una parte della casa, che era invece di proprietà di entrambi. Certo, lui l’aveva invitata a scendere, ma l’essersi rifiutato di darle spiegazioni di fatto le aveva impedito di accettare l’invito. Era una questione di principio: quello spazio era suo quanto di lui. Si sentì vittima di un’ingiustizia e decise di scendere a controllare, di nascosto. Tanto per ristabilire un principio di equità.

     Purtroppo, lui non usciva mai di casa. Andava a volte dal medico, ma accadeva raramente. E quindi non poteva che scendere di notte, mentre lui dormiva. Quella sera, lo aspettò sveglia, leggendo. Di ritorno dalla cantina, lui si mise a letto e appena poggiata la testa sul cuscino, cominciò a ronfare rumorosamente. Bessie aspettò una decina di minuti, poi si alzò e scese in soggiorno. La casa rimbombava al ritmo regolare del respiro assordante del marito. Stavolta, pensò, sarebbe servito a qualcosa: se si fosse interrotto, se ne sarebbe accorta subito e sarebbe risalita rapidamente.

     La porta della cantina cigolò leggermente. Si fermò un attimo ad ascoltare, ma il russare continuava implacabile e prese a scendere. Lo spazio era pieno di vecchie cose dimenticate, che chissà perché non erano state buttate, vasi scheggiati, arnesi arrugginiti, suppellettili ormai inutilizzabili. C’era una vecchia sedia a dondolo che aveva sempre cigolato fastidiosamente. Provò a sedersi e il cigolio era identico; continuò a dondolarsi, cercando di andare al ritmo dei rantoli di Jonathan. Ma cosa viene a fare qui sotto, si chiese? Immaginava che avesse pulito un tavolo da lavoro, che passasse il tempo, che so, ad aggiustare vecchi utensili. Ma non c’erano segni della presenza del marito lì sotto: tutto era coperto da uno strato uniforme di sporcizia, come se nulla fosse stato toccato da anni. Si alzò per tornare su, perplessa, ma mentre dava un’ultima occhiata intorno notò che in una piccola zona del pavimento vicino al muro in fondo alla stanza non c’era polvere. Si avvicinò: l‘area aveva la forma di un triangolo con un lato arrotondato, come fosse il segno lasciato da una porta. Ma non ricordava ci fossero porte nella cantina. Un gigantesco manifesto incorniciato era appoggiato sulla parete. Provò a spostarlo, e in effetti il triangolo continuava fino alla parete, e c’era davvero una porta, molto piccola, quasi uno sportello nel muro, che evidentemente era stata aperta di recente. Afferrò la maniglia, sperando di non fare troppo rumore. A quel pensiero si immobilizzò. In casa regnava un silenzio perfetto: Jonathan aveva smesso di russare. Non ebbe tempo di farsi altre domande. Rimise il quadro al suo posto, corse su per le scale della cantina, chiuse la porta, si precipitò in cucina, e aprì l’acqua.

– Bessie? Dove sei?

     Si affacciò dalla porta. Il viso di Jonathan sporgeva dalla ringhiera, con le sue guance cadenti appese agli zigomi. Per un attimo ebbe la visione della pelle flaccida del marito che perdeva la sua consistenza solida, e diventava liquida, gocciolando nella tromba delle scale, fino ai suoi piedi.

     – Mi sto facendo una camomilla. Adesso salgo.

     Passarono alcuni giorni e poi una sera, al ritorno dalla cantina, Jonathan trovò una tazza di camomilla sul suo comodino.

     – Ne ho preparata una anche per te, – disse lei.

     Si fissarono per alcuni secondi, senza parlare.

     – Grazie, – disse lui alla fine, e la bevve.

     Prese a russare nel giro di pochi minuti.

     Arrivata in cantina, Bessie spostò il quadro e aprì la porta. Nel buio intravide un’unica forma indistinta al centro di un’ampia stanza. Accese una lampada appesa a un filo. Era una poltrona, con lo schienale alto, e accanto ad essa, c’era una lampada su uno sgabello.

     Bessie si avvicinò incuriosita. Riconosceva quegli oggetti. La lampada era il regalo sgradito di una zia e lo sgabello era stato per anni nella loro stanza da lavoro. Quanto alla poltrona, era quella di suo padre, che pensava fosse finita in discarica ormai da decenni. Quegli oggetti erano stati messi lì a uno scopo, e cioè per sedersi in quella stanza sotterranea, ma per fare cosa? Dubbiosa si sedette sulla poltrona. C’era un odore strano, nell’aria; le sembrò familiare, ma non riusciva a dargli un nome. E mentre si arrovellava per individuarlo, forse per via di quella poltrona, che le aveva ricordato suo padre, le tornò in mente il ricordo di uno scherzo che lei e il fratello, da piccoli, avevano architettato per divertire i genitori. Quanti anni potevano avere? Forse lei dieci e lui otto? Avevano scovato dei vecchi abiti in un baule in soffitta e si erano agghindati con quelle cianfrusaglie, convinti che la loro prodezza sarebbe stata lodata. Eppure, avrebbe dovuto sapere che l’ira del padre si scatenava a volte per azioni che sembravano inoffensive. Si riscosse da quel ricordo, e pensò che per quella sera ne aveva abbastanza, della stanza misteriosa. A letto, tardò a prendere sonno.

     Due giorni dopo, di ritorno dalla cantina, Jonathan trovò di nuovo la tazza di camomilla sul comodino.

     – Bessie, non ho bisogno di altro sonnifero. So che vai in cantina mentre dormo e, a dire il vero, speravo che tu lo facessi.

     La donna lo guardò stupita.

     – Hai sentito il profumo?

     Bessie rimase in silenzio per un po’, e poi disse con un tono incerto.

     – In realtà non ho ben capito cosa succede in cantina.

     Jonathan la guardò comprensivo.

– Lo capisco, anche per me è stato sconcertante, all’inizio, ma devi solo avere un po’ di pazienza: vedrai, è una scoperta meravigliosa. Vuoi che scendiamo insieme?

Bessie fece cenno di sì e seguì il marito lungo le scale.

Arrivati nella stanza, Jonathan accese la luce.

– Quest’odore, sembra anche a te di averlo già sentito?

– Sì, ma non riesco a riconoscerlo.

Lui sorrise.

– Ci vorrà qualche giorno, ma presto scoprirai il suo incredibile potere: quest’odore riesce a rievocare i ricordi, anche quelli più antichi. Mentre siedo in questa stanza, il passato riaffiora con vividezza e mi sembra di poterlo rivivere. Poi, lontano da qui, la memoria si affievolisce; mi rimane solo la sensazione di aver ricordato qualcosa di bello e devo respirare di nuovo quest’aria per farlo rinascere e renderlo di nuovo attuale.

– E da dove viene?

– Vedi quella fenditura nel muro, lì in fondo? Se ti avvicini, senti il profumo più forte, sono certo che venga da lì.

– Ma cosa c’è dietro al muro?

– E chi lo sa? Anch’io all’inizio me lo sono chiesto, ma da qualunque parte venga, quest’odore è stato in grado di restituirmi una parte della mia vita che credevo perduta e ho smesso di farmi domande. Mi sono tornati in mente momenti, persone care, affetti; da quando passo le sere in questa cantina, sono una persona diversa, più serena.

Bessie lo guardava incredula. Da quanto tempo suo marito non le parlava con quel tono caldo, addirittura, le sembrava così strano ammetterlo, affettuoso?

– Ti chiedo di avere solo un po’ di pazienza; non ho dubbi che anche per te quei ricordi troveranno la strada per tornare.

Bessie fece cenno di sì e risalirono in casa.

Passarono diversi giorni. Bessie scendeva in cantina, quasi ogni sera, ma non ne aveva più parlato con il marito. Lui la guardava di nascosto, senza fare domande, non voleva metterle fretta. Quando risaliva, lei aveva uno sguardo indecifrabile. Certo non era ancora riuscita a ricevere il dono del profumo, pensava Jonathan, e continuava ad aspettare fiducioso. Poi, una mattina, lui entrò in cucina silenziosamente e vide sua moglie che sorrideva tra sé e sé. Appena si accorse di lui, lei nascose il volto, ma il marito fu sicuro che quello che stava tanto aspettando era accaduto.

– Ti ricordi che oggi devo andare dal medico?, le chiese gentilmente.

Lei si girò e fece cenno di sì. Non c’erano dubbi: nello sguardo di Bessie c’era una nuova luce. Quanto ne fu sollevato! Era sicuro che, come era accaduto per lui, anche per Bessie i ricordi dell’infanzia avrebbero avuto un effetto benefico e stemperato l’astio che provava verso la vita. Potevano essere di nuovo felici insieme. E finalmente sarebbe potuto tornare nella cantina; ne mancava da pochi giorni ma già sentiva una grande nostalgia per le emozioni che aveva provato in quella stanza. Uscì di casa e si avviò verso il centro. Proprio mentre girava sul viale principale, un furgone imboccava la sua strada, ma lui lo guardò distrattamente e non si accorse che si fermava proprio davanti al loro vialetto d’ingresso. Solo qualche ora dopo, dopo il suo rientro a casa, si sarebbe ricordato la frase pubblicitaria sulla fiancata, che gli era passata fugacemente accanto, e che diceva: “Crepe sui muri? Niente paura, noi ve le sigilliamo per sempre!”

Un racconto di Fiorella Malchiodi Albedi

Illustrazione di Angelo Policicchio

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