La sigaretta invisibile

Quando il cellulare si illumina le ombre degli oggetti che mi circondano si allungano, fino a toccarsi. Mio padre è peggiorato e lo stanno portando in ospedale. Se non fosse per il solito ritardo di questo maledetto treno, in poco più di mezz’ora sarei accanto a lui per stringergli forte la mano e dirgli Tranquillo papà, ci sono io qui con te. Invece non mi resta che continuare a muovermi lungo la banchina e aspettare. Mentre fumo l’ennesima sigaretta ripenso a quante volte negli ultimi mesi ho ripetuto Tranquillo papà, ci sono io qui con te, come se potesse fare la differenza, come se a mantenerlo ancora in piedi fossero i fili delle mie parole e non la mano dei medici. Dopo aver dato qualche tiro la butto a terra e mi appoggio al muro, lasciandomi scivolare giù. Stanco di fissare le mie scarpe, rialzo la testa e mi trovo davanti uno di quegli schermi che trasmettono pubblicità a ciclo continuo. Faccio in tempo a vedere gli ultimi secondi dello spot di un’associazione che raccoglie fondi per la ricerca scientifica, dove mi invitano a donare due euro con un sms, quando compare un ragazzo che beve un cappuccino cremoso, ritrovandosi una bava di schiuma spalmata tra il naso e la bocca. Seduta di fronte a lui, in una sala che sembra la hall di un albergo, una ragazza lo fissa e invece di ridergli in faccia, o tutt’al più indicarsi con discrezione le labbra, se le lecca con aria provocante. L’uomo, che evidentemente ha problemi anche solo a bere un cappuccino, non si rende conto che con quella faccia nessuna lo noterebbe, nemmeno se tra il naso e la bocca ci fosse un pavone che fa la ruota. E così, dopo un istante di perplessità in cui si guarda attorno, si convince che sia la sua avvenenza la causa di tutte quelle leccate di labbra. Poi lei si alza e avanza con una camminata talmente sensuale e aggressiva da paralizzarlo, indeciso tra cominciare a spogliarsi o scappare via. Una volta a distanza di bacio però lei si china e, prima di andarsene, gli appoggia un fazzoletto sotto il naso che rimane appiccicato. Dovrebbe fare ridere, o perlomeno dovrei ricordare la marca, nel caso volessi anche io un giorno prepararmi a casa un bel cappuccino cremoso. Invece, il nulla. E pensare che ci sarà stato qualche pubblicitario al soldo di un’agenzia di comunicazione, uno di quelli che ogni tanto vedo passare anche in azienda da me, con il risvoltino nei pantaloni e un paio di calze a righe multicolor che gridano al mondo Guardami! Sono un creativo, qualcuno che avrà anche avuto il coraggio di proporla, una storia del genere. Ad uno che a sua volta si sarà palesato in riunione sfoggiando un doppiopetto slim-fit in gessato, uno di quei dirigenti talmente sicuri di sé che se una cosa piace a loro allora sicuramente andrà bene a tutti, e che dopo aver ascoltato la presentazione del creativo, mentre con la coda dell’occhio guardava le ultime notizie sportive sul tablet, avrà detto Sì, mi piace. Giriamola! Poi il giorno delle riprese sarà pure voluto andare sul set perché 1) io sono il cliente, 2) oggi non ho voglia di stare in ufficio, 3) chissà, magari la ragazza mi nota, in fondo siamo tutti qui perché l’ho deciso io. E appena salito in macchina si sarà sfilato la fede per mettersela in tasca. La ragazza invece, quella pagata per passare la giornata a leccarsi le labbra, forse quella mattina si sarà svegliata con un herpes labialis. Proprio oggi!, avrà pensato. Una sessione di trucco per fortuna fa miracoli, e lei lo sa, ma sa anche che dovrà 1) fare la simpatica tutto il giorno, per non passare per una che se la tira, 2) sfruttare bene questa opportunità lavorativa, visto che ai casting ci sono troiette sempre più giovani che l’unico pelo che hanno è sullo stomaco, 3) smettere una buona volta di flirtare in giro come una ragazzina, perché il tempo passa e tutte le sue amiche sono già sposate. Dopo le riprese, tra una battuta sagace dell’uomo in gessato e una risata forzata della donna con l’herpes, si saranno messi d’accordo per andare a cena fuori, finendo poi a letto insieme. La mattina dopo lui si sarà svegliato tutto contento, al pensiero di quando lo avrebbe raccontato ai ragazzi del circolo, ignaro però del piccolo herpes che lo accompagnerà, a periodi alterni, per il resto della sua vita, mentre lei guardandosi allo specchio, dopo una passata di rossetto, avrà sorriso, al pensiero che forse, chissà, magari è la volta buona… il treno sta arrivando, o almeno così dice una voce, prima in italiano e poi in inglese. Mi passa accanto una vecchia talmente curva da sembrare una strega, se non fosse che, al posto del vestito nero, indossa tutto il suo guardaroba, e invece della scopa si trascina dietro una borsa per la spesa, di quelle con le rotelle. Raccoglie da terra la mia sigaretta e si fruga nelle tasche. Ci mette tanto perché ha tante tasche. Dovrei darle il mio accendino ma, non so perché, mi vergogno. Così salgo sul treno e mi siedo. Poi però abbasso il finestrino perché ho cambiato idea e le voglio dare da accendere, o anche solo 2 euro, e magari chiederle se in una di quelle tasche ha un amuleto, uno di quelli potenti, di quelli che funzionano anche se non ci credi. O almeno più potente delle parole Tranquillo papà, ci sono io qui con te. Prendo l’accendino dalla tasca e mi sporgo fuori, ma lei non c’è più. Mi accendo allora una sigaretta invisibile e rimango lì a fissare la fiamma, che poco alla volta si inclina su un lato fino a quando, dopo aver combattuto con tutte le sue forze, si arrende. E proprio come la vecchia poco fa, come mio padre a breve ed io al prossimo colpo d’aria, d’un tratto, scompare.

Un racconto di Daniele Israelachvili

Illustrazione di Incorrect

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