La favella della maritazione, o di come nonno divenne più levazzo

Quella che mio nonno ci arraccontava, a me e a mio fratello, della sua maritazione è la favella che più mi stette in testa da quando nacquai, a quando ahimé morii. Per verità non di un vero sposalizio cianciava, quanto di una furteria che, anche se non ebbe danneggiamento alcuno, coinvolse poi in maniera o altra praticamente tutto il globiquo. Eccezion fatta per gli americani, che quelli usano piedi, libbre, spannerie e ammenicoli differenti per tacchettar le cose loro.

Nonno aveva un amoreggiamento, ‘na tal scianfetta che giocava a far la ninfa quando poi era poco più di una rubicona. Non dovrei parlarne così, tant’è che quella poi è divenuta madre di mia madre, ma dai vecchi fotoprint che stanno contramati in soffitta pare evidente come nonna fosse in fondo di una lampezza trascurabile. Non una diva del netflichio, insomma.

E nonna era comparda, testaccia come un mulo, ma non sapeva che nonno pure quando si era messo qualcosa in quella sua capoccia bionda non tornava mai attergo.

La vide sul sagrato, racconta, la prima volta. Esciva da n’altro sposalizio, d’amici suoi, carpettini che adoggi non son più vivi, e che una mesata dopo il nuziale stavano agià bisticciando come due ronfosi.

«Mi fareste l’onore di accompagnarvi a casa», dichiara d’aver dichiarato nonno, balbuttaio come il pentolìo quand’hai mess’i fagioli.

È in questo punto del novellare che nonna s’arza d’a scranino e s’infiacca in un pordèlio gridato, rimarchiendo com’avesse difeso stremba l’onorame.

«Subito capì che cosa voleva quel giovane, bello, oh sì, alquanto, ma anche lesto di mani, a quanto dissero le comari mie.» E solvamente ammicca, destando ilare sconcerto negli adulti, e gramignane risacchiose in noi ragazzi.

Qui è nonno che allarga le braccia, bonario, col sorriso di chi ormai ha sbancato il piattello, e riafferra le timonaie del racconto.

«Solo con un corazziere» mi gettò, «in fondo c’aveva più paura di me, nonna, e questo mi disse: solo con un corazziere, sono disposta a maritarmi.»

Poi il nonno tira una labbraia di vino, ristorando ugole e cervella, e riddraia: «Io certo non avevo chiesto di maritarla, ma si sa come vanno queste cose, e vostra nonna mise subito le mani avanti. Due cose volle: un marito, e un carabiniere corazzato. Sulla prima, potevo anche cedere, dopotutto ero uomo di buona famiglia e con la testa a posto, per quanto potesse esserlo un ragazzo di vent’anni. Ma sulla seconda, non sapevo come fare.»

Era quell’epoca in cui i corrazzieri, elita magnifimentale del corpo carabiniero, non venivano arcuasati soltanto su base delle capreglie, ma bensì anche tenendo dimolto conto delle stazze. E a nonno mancavano giusto quei due centimetri per arrivare al queriato metro e novanta. Ma il ragazzo non era uno di quei che si perdevano d’animo, e arrangiò in fretta un’afflosunga.

Mise in grimagna una squadra operativa, cresolata tra quei ceffi suoi che aveva in paese, che se lui era di testa buona e portamento fino, i suo sgarabelli non erano certo di quelli a cui appipperesti la tua figliola, o la dinarella.

E così, preso prima un aerogetto per Parigi e poi le vetture che ci vollero, si smannarono davanti al Bureau International des Poids et Mesures a Sèvres. Lì attesero brumaia, e quando la monna fu levazzata nel cielo si addrapicciarono dall’esterno del grampazzo con le funi. Era soltanto un musaio e non aveva una gran costodezza, perquindi riuscirono a princiadire all’interno senza grosse stremature.

Arrivarono davanti al famoso Metro Campione, che è duso per tacchettare ogni cosa. Tutto quello che puoi metrare pende da questo Metro Campione. E qui il nonno fa sempre una faiella a effetto, come se anche noi potessimo vedere questo Sacro Graal del metramento.

«Platino-Iridio lucente e purissimo, tenuto a 0° esatti per evitare deformazioni, perfetto e intonso. Io lo estrassi e Cresello iniziò a grattarlo. Con delicatezza: non volevamo rovinarlo né perdere nemmeno una briciola della preziosa limatura, e nemmeno allertare quell’unico custode che dormiva al pian di sotto.»

Qui io e Mirello di solito ci acquietiamo, starnando anche di afflatire per non rischiare di soffiar via la preziosa polvere aurella, come fosse lì con noi.

«Barbuzzi, Cresello e Mariolli si tennero poi la limatura, come rimborso per i rischi e la fatica dell’impresa. Io in cambio ebbi qualcosa che non si poteva comprare coi denari: tolto un centimetro al Metro, il metro del mondo era diventato più breve, e io più lungo. Un metro e novanta centimetri, di quelli nuovi.» Era divenuto della levazza perfetta per poter far parte dei corazzieri. «E, certo, per maritarmi bene» aggiugne, raccagliuto da un grifame severo della nonna. E il resto della storia non è più leggendezza né miterìa, bensì storia famigliare: a riguardar le fotoprint del nonno, con la ciffanza nera sopra all’elmo, e a misurarlo col sartino della nonna, pare chiaro che fu così come favellava. A volte mi carpa il dubbio che poco fosse vero; ma modo per dimostrarlo più non c’è, e il tempo mio nel scrivere e il vostro nel leggere ormai nessuno indietro ce lo rigiverà.

Un racconto di Alfio Mazzuchelli

Illustrazione di Rebecca Fritsche

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