Moscio e Vangelo

Moscio e Vangelo tornarono da messa alle dodici.

Vangelo aveva i riccioli che gli cadevano sulla fronte e Moscio tirati indietro col pettine.

Vangelo si sforzava ogni domenica di capire fino in fondo quello che diceva ad alta voce il prete. Sapeva tutte le preghiere a memoria. La sera, prima di chiudere gli occhi sotto le coperte, recitava un paio di Ave Maria.

A Moscio la voce del prete pesava addosso come una trapunta di lana spessa. Non reggeva il suono dell’organo, i chierichetti assonnati, le anziane signore che sbagliavano le parole e la brezza infetta che usciva dalle loro bocche mezze aperte.

La madre era rimasta a letto con l’umore interrotto e la pelle unta. La vestaglia che le copriva il corpo sapeva d’umido.

Era da un mese che nessuno la montava. Cacciò di casa il suo ultimo compagno delusa dalle sempre più deboli e fallimentari prestazioni sessuali.

Fece di tutto pur di essere ingravidata, ma non ci fu verso. Avrebbe voluto una bambina a dormirle accanto la notte, piangerle addosso al mattino e riempirle di saliva le dita delle mani il pomeriggio.

Usciva dalla stanza a tarda sera strisciando sul pavimento lercio le piante dei piedi. Raggiungeva la cucina per riempire di latte e biscotti un’enorme tazza che avrebbe svuotato a cucchiaiate nel giro di qualche minuto appoggiata al tavolo da pranzo. Poi di nuovo a letto per un’altra quindicina di ore piena di depakin e olanzapina.

Alle dodici e trenta Vangelo ordinò a Moscio di mettersi in linea per cucinare il pranzo. Moscio obbedì da buon sottoposto, senza replicare.

Prepararono trofie al burro, fagioli in insalata e cutizza comasca: uova sbattute con pan grattato che versarono nell’olio bollente facendo un gran casino e sporcando dappertutto. 

La pastasciutta era molle, si appiccicava al palato, i fagioli erano troppo conditi, e la frittella era nera in superficie.

A fine pasto Vangelo sgrassò i piatti e le posate e pulì il fornello. Moscio, dopo aver passato il pavimento con la scopa, corse in camera da letto a prendere lo zaino per infilarci dentro due stuoie.

Uscirono di casa chiudendo a chiave la porta davanti e quella sul retro, e nascosero le chiavi nella cuccia del vecchio cane tumulato in giardino.

Corsero per tutta via del Partigiano fino ad arrivare alla sbarra che separava il paese dal bosco, dove la strada asfaltata diventa sentiero sassoso. Moscio era paonazzo e fradicio di sudore. Vangelo, anche con lo zaino in spalla, avrebbe potuto correre per altri duemila metri.

Alle due arrivarono ai terrazzamenti, dove un terreno scosceso ombreggiato dagli arbusti li avrebbe accompagnati verso il ritrovo della domenica.

Tutti la chiamavano Spiaggetta. Un angolo di terra ricoperto di ghiaia tra il fiume e la parte bassa del paese.

C’erano ragazzi e ragazze in costume e pieni d’alcool che cucinavano carne alla griglia, anziani in canotta con la canna da pesca in mano, madri che parlavano tra loro e bambini trascurati in pantaloncini corti che fingevano di essere guerrieri di epoche antiche.

Moscio e Vangelo estrassero dallo zaino le stuoie e ci si sedettero sopra dopo essersi liberati di maglietta e bermuda.

Raccolsero una manciata di sassi e ne tirarono uno a testa verso un pargolo dai capelli biondi lunghi fino alle spalle. Giocava solo, distante da una madre dormiente e cosparsa di crema. Lo colpirono debolmente sul braccio. Lui rise. Si tirò in piedi a fatica e li raggiunse ciondolando.

«Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen» disse Vangelo strizzando un occhio con il rosario stretto nella mano.

Decisero sesso e nome: Nancy.

Lasciarono la zona facendo attenzione a tutto e tutti. Moscio lo tenne in braccio per tutto il tragitto con una mano sulla bocca. Vangelo si preoccupò che nessuno li seguisse. 

Entrarono in casa dalla porta sul retro. Lo sdraiarono nella vasca da bagno. Dovevano darsi da fare per rendere presentabile il nuovo arrivato. Iniziò a scalciare, Moscio lo rabbonì riempiendolo di baci sulla pancia nuda. Vangelo aprì l’acqua. Gli sgrassarono a fondo la pelle con aceto di mele, dopodiché lo asciugarono con il telo da bagno e si prepararono per affrescargli il viso.

La nuova sorellina: ombretto e mascara agli occhi, fondotinta sul viso e labbra colorate, venne posato sul letto accanto alla madre unta e assopita. Moscio spense la luce e Vangelo chiuse la porta.

Una volta abbandonata la stanza della madre, si appostarono in cucina per cenare. Prepararono bastoncini di pesce e insalata.

A pasto quasi terminato, dalla camera da letto si sentì un urlo. Entrarono di corsa e videro Nancy in piedi sul letto. La madre, con la vestaglia macchiata di piscio, ciondolava per la stanza biascicando.

Moscio le si avvicinò cercando di calmarla e Vangelo afferrò il piccolo per un braccio trascinandolo in sala da pranzo.

«Hai rovinato tutto!» disse.

Lo mise in piedi sul tavolo, dalle parti intime scendevano gocce di urina chiarissima. Prese lo sgrassatore da sotto il lavello, un panno usato, la spugna per i piatti, e lo pulì per bene strofinando con forza dall’alto verso il basso.

Nancy smise di frignare. Gli si era rovinato anche il trucco e il vestitino era da buttare: maleodorante e sudicio.

Vangelo gli sussurrava nell’orecchio una preghiera mentre il bimbo sorrideva strofinandosi il volto. Lo prese in braccio nudo e posandolo sul divano gli fece il segno della croce sulla fronte.

Moscio, dopo aver infilato nella bocca della madre le medicine per la stabilizzazione dell’umore e del sonno, raggiunse Nancy e il fratello. Tolse dal frigorifero un lembo di pollo crudo, lo tagliò a cubetti che avvolse in un foglio di giornale e mise del latte in una vaschetta di plastica.

Moscio e Vangelo erano soddisfatti. Avevano pensato a tutto. A fargli inghiottire il pollo crudo fino all’ultimo boccone, ad accarezzarlo a turno su tutte e due le guance, a coprirlo con la vecchia trapunta, a spolverare la cuccia del cane morto, a riempire di sabbia la lettiera per i bisogni, e a non stringergli troppo catena e rosario intorno al collo.

Un racconto di Andrea Pauletto

Illustrazione di TeppaElle

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