Sotto il peso del cobra più velenoso del mondo

Dietro la tenda una tigre dai denti a sciabola si fa le unghie sulla carta da parati. Lui sa che è stata la pinna dello squalo bianco di quindici metri, che nuota nel parquet, a colpire la scrivania e a far cadere il pupazzo di Superman.

E quando uno spiraglio di luce divide in due blocchi la camera, e il viso triste della madre fa capolino dalla porta, sente gli animali sparire nel buio.

Tutto bene?

Posso dormire con la luce accesa?

Non ci sono mostri, lo sai.

Ma puoi guardare sotto il letto?

Non c’è niente lì sotto, fidati.

Nemmeno animali?

Solo Rocky.

E dov’è?

Di là, vuoi dormire con lui?

Sì.

Rocky, vieni!

Il cane entra scodinzolando e salta sul letto. Gli lecca la faccia, lui ride. La madre lo rimprovera e lui lecca più forte. La bava gli lucida la cicatrice sullo zigomo. Non gli fa quasi più male, solo quando è tutto buio gli brucia ancora un po’. La tigre dai denti a sciabola entra nel muro e si mette controvento per impedire al cane di fiutarla, mentre lo squalo bianco di quindici metri si immerge nel parquet.

Con Rocky sei più tranquillo?

Mi difende.

La mamma si siede sul bordo del letto. Guarda Superman faccia a terra e respira forte, poi si alza come se si fosse appena svegliata. Gli rimbocca le coperte e gli dà un bacio umido sulla cicatrice che gli solca lo zigomo destro.

Buonanotte, tesoro.

Notte mamma.

Il serpente lo morde e lui si sveglia sudato con le lenzuola appallottolate ai piedi del letto. Rocky se n’è andato, la mamma l’avrà portato via.

Prova a muovere la testa, ma non ci riesce. Sente che è il serpente a bloccarlo.

Un corvo gracchia dall’armadio di legno su cui è appollaiato. Sembra parlargli, sembra quasi che conosca quel verso. Sente l’uccello volare verso di lui. Sa che non ha nulla che fare con gli altri animali, sa che non gli farà del male. Nonostante sia nero, più scuro del buio, nonostante il suo volo sporco e scoordinato, il bambino non ha paura perché sa che il corvo è qui per proteggerlo. Quando è a pochi centimetri da lui improvvisamente sparisce ingoiato dalla bocca del cobra, perché è questo che è il serpente, il cobra più velenoso del mondo, quello che è bianco e blu.

Non riesce a muoversi. Vede nel buio le unghie della tigre dai denti a sciabola uscire dalla tenda e nel parquet la pinna dello squalo bianco di quindici metri ricominciare a muoversi.

La sua bocca si contorce, si apre senza emettere suono. Cerca di spostare le braccia che sono come sotto una forza potentissima, come quando giocava alla lotta col papà. Muove l’indice e il mignolo, il medio e il pollice. Prova a schioccare le dita. Aveva passato quella giornata col papà a farlo e gli veniva solo quando c’era lui a guardarlo. Da solo, invece, strusciavano senza far rumore, ci aveva provato tante volte dopo l’incidente. Prova allora a chiudere la bocca e soffiare, ma le labbra, o sono troppo distanti o troppo secche, e nessun fischio esce fuori. Anche quello gliel’aveva insegnato il papà il giorno che la Shelby bianca e blu aveva tagliato l’incrocio troppo velocemente.

Cerca di risvegliare, poco alla volta, ogni centimetro del suo corpo, che gli sembra lontano e irraggiungibile. Prova a muovere il ginocchio, ma il cobra è troppo pesante, come una macchina. Sente le unghie affilate della tigre dai denti a sciabola risuonare sul parquet, la lingua del cobra più velenoso del mondo vibrare verso di lui e la pinna dello squalo bianco di quindici metri sbattere contro l’armadio.

Sposta lo sguardo sulla sinistra, lì c’è Superman caduto, l’ultimo regalo che il papà gli ha fatto.

Si abbandona. È pronto agli artigli della tigre, al morso dello squalo e al veleno del cobra. Rilassa i muscoli. Nascosto nel buio, o nella pancia del serpente, sente lontano e ferito il gracchiare del corvo. Che è un pianto o un addio, lui non lo sa. E capisce che è lì che dovrà andare, nella pancia del cobra. La immagina stretta, troppo stretta per respirare. E scomoda, profonda, rigida come legno.

Gli animali si avvicinano, la lingua del cobra più velenoso del mondo gli tocca la cicatrice. La tigre dai denti a sciabola è pronta a mordergli la gamba ingessata, il muso dello squalo bianco di quindici metri risalire il materasso. Sente un’ultima volta l’addio gracchiato del corvo e si ricorda del sorriso sottosopra del padre, degli occhi che lo cercavano, delle sue dita strette sui suoi giocattoli: una tigre dai denti a sciabola e uno squalo bianco, e sorride anche lui.

Un racconto di Giulio Fenelli

Illustrazione di Marco De Simone

Giulio Fenelli

Romano DOC. Da piccolo ha frequentato corsi di equitazione circense, golf, tennis, sci alpino e appenninico, e nel tempo libero scriveva poesie. Poi ha conosciuto il whiskey e le sigarette, e alle poesie non ci ha più pensato. Sogna in piccolo: gli basterebbe scrivere il nuovo Notturno Cileno e timonare il suo Pequod.

Lascia un commento