Mattia Grossi- Alessia Arti_ Narrandom

Invasioni

Tsss…

Scatto in piedi e punto la torcia contro la finestra blindata.

Vedo però soltanto il mio riflesso smagrito, con la testa calva e le sopracciglia ormai assenti.

Sono sicuro di aver sentito il verso di un vermone.

Devo suonare l’allarme.

E se mi fossi sbagliato?

Sì, era il vento.

No, mi sta guardando.

Sento i suoi cazzo di occhi addosso.

«Dove sei, figlio di puttana?»

Tsss…

«Sei dentro l’hangar o fuori? Non ho paura di te!»

Mi blocco.

L’ho visto.

È fuori.

Il problema è che non è solo.

Ce n’è un altro al suo fianco.

Altri due sono sulla destra del mio campo visivo.

Uno scende dall’alto e struscia il ventre flaccido di “mollica” sulla finestra.

«Non è stupenda Londra, in autunno, Judith?»

C’è Demetrio al mio fianco.

Ha gli occhi vacui ed è nel pieno di un’allucinazione.

Mi faccio il segno della croce.

Poi lo abbraccio.

 

«Non sono mai stato a Londra in autunno, ma scommetto di sì.»

 

Prima qualcuno si salvava con la chemio.

O morivano subito, lasciando la famiglia in un dolore immediato, o guarivano, dando l’impressione di avercela fatta, per poi riammalarsi, provocando alla famiglia un dolore digerito e più scuro.

Eppure la maggior parte di loro dormiva sonni tranquilli, senza preoccuparsi dell’estraneo che riposava in casa di qualcun altro.

Doveva succedere o a te o a un tuo familiare diretto, per coinvolgerti e scuoterti.

Chi poteva biasimarti, se rimanevi illeso?

Poi una mattina il cielo si è squarciato e nel placido celeste è comparsa un’unghiata nera

Mio padre, prima di ammalarsi, me la descriveva di tanto in tanto.

«Dal cielo cadde una specie di mollica rosa. Sai quando bagni il pane e la mollica si fa tutta compatta? Così. Ecco, ne cadde tanta, tantissima. Prima prese la forma di un verme. Poi, si divise in milioni di piccoli vermi, che cominciarono ad avere fame.»

Si scoprì che la “mollica rosa” era cosciente ed era arrivata sulla Terra con un preciso scopo: riunirsi alle sentinelle, inviate millenni prima in avanscoperta sul pianeta.

Erano state le sentinelle a causare il cancro come l’aveva conosciuto l’umanità.

A differenza dei vermoni, queste avevano dimensioni infinitesimali e si muovevano nell’aria, spinte dal vento come spore. Solo quando entravano in contatto con un essere vivente potevano esprimere la loro natura parassitaria e generare tumori, dopo aver superato il sistema immunitario.

I vermoni probabilmente le avevano mandate per studiarci, per capire se valesse la pena invaderci.

«Gastone, stai sempre a pensare. Guardi fuori dalla finestra e pensi. Ti ho chiesto tre volte se devi fare tu il turno di guardia e sembra di parlare con un muro.»

«Sì, sta a me.»

«E cerca di concentra– Ah! Cazzo!»

«Tutto ok?!»

«Sì, tranquillo. Queste fitte sono una seccatura, ormai. Sto bene però ora. Buonanotte.»

«Buonanotte.»

Saluto il capo del reparto con un gesto rapido della mano, che fa tintinnare l’ago cannula sul mio polso.

La uso per la chemio da due mesi ormai, quando uno di quei vermoni è entrato nella nostra zona, durante la mia ronda. Mi si è attaccato alla bocca e mi ha instillato un tumore ai polmoni. I miei compagni l’hanno tirato via, prima che fosse troppo tardi e arrivassero anche le metastasi.

Nonostante tutto sono quello che se la passa meglio nell’hangar.

C’è Clotilde che convive da sei mesi con la colonstomia, perché ha il colon compromesso e, nonostante tutto, cerca di sorridere ogni volta che svuota la sacca.

C’è Demetrio, il capo con cui ho appena parlato, a cui uno dei vermoni ha masticato la testa per due minuti prima che riuscissero a dividerli.

Il tumore al cervello che ne è scaturito sembrava essere letale.

Invece gliel’hanno asportato in toto e, nonostante quel poco di massa cerebrale che gli è rimasta, non si è trasformato in un vegetale.

Un miracolo. Un cazzo di miracolo inspiegabile.

Perché ha una cicatrice dietro la nuca che ricorda il simbolo della Nike e delle allucinazioni a volte, ma non è cambiato di una virgola.

La realtà è che chirurghi e oncologi lavorano ormai a pieno regime, perché ci sono sempre più casi da studiare e la ricerca ha ritmi che non si erano mai visti.

All’improvviso vengono fuori soldi statali, come fossero caramelle.

La paura di una morte certa deve aver smosso parecchie coscienze.

 

«Gastone.»

I vermoni possono parlare? Quello che mi ha fatto venire il cancro ai polmoni emetteva solo versi sconnessi.

«Perché continui a rasarti capelli e sopracciglia? Avevi promesso alla dottoressa che avresti smesso»

Non vuole più uccidermi. Il mostro mi sta giudicando. Mi sta parlando.

«Papà non tornerà, lo vuoi capire? È un anno che la malattia l’ha portato via. Cosa ho fatto di male per perdere prima lui e poi te… così?»

Si avvicina.

Ha l’odore di mia madre addosso.

«Vuoi confondermi, testa di cazzo?»

Tiro fuori il coltello da cucina che tengo per le emergenze nel calzino sinistro.

«Dove l’hai preso quello? L’infermiera mi ha detto che non avevi più nulla.»

Un altro passo e lo colpisco.

Non può permettersi di parlare come mia madre.

Ok, amico, l’hai voluto tu.

«Ah! Ma che fai? Mi hai ferito! Perché, Gastone? Svegliati, figlio mio. Torna da me, ti prego.»

Ne sta imitando anche il pianto.

Se non la smette, sarò costretto a colpirlo ancora e questa volta non sarò così leggero.

Carico il braccio, pronto per un nuovo affondo.

Per sua fortuna un altro vermone arriva e lo porta via.

Dovranno fare molto di più, se pensano di potermi fregare con dei simili giochetti.

 

 

Un racconto di Mattia Grossi

Illustrazioni di Alessia Arti

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