Una parola per dirla

L’anno scorso mia madre mi mandò una mail con scritto: le tue ansie. Sotto c’era una lista con i mesi dell’anno e per ogni mese un’ansia diversa, e poi: no no no no no basta, firmato ma. Quest’anno non me l’ha mandata, la mail con le mie ansie. Però se mi ci mettessi un’ansia per mese riuscirei a trovarla anche da sola.

La cosa più assurda, dell’ansia, è che nel paese in cui vivo non c’è una parola per dirla. Ci sono parole che si avvicinano, tipo Beklemmung o Angst, magari al plurale: Ängste, ma non posso mica dire guarda no, io il caffè non lo prendo sennò mi vengono le Ängste. E quindi vivo in una condizione di continua negazione dell’ansia, perché se non ci sono le parole per dirla, lei non esiste, e soprattutto non viene capita. Il problema è che esiste comunque, in italiano, e io sono italiana e quindi sono piena di ansia che in Germania però non viene capita. Che poi pure quando parlo in tedesco o bevo il caffè in Germania, ma non lo bevo mai perché appunto mi viene l’ansia, ma quelle poche volte che ho bevuto il caffè in Germania a me l’ansia è venuta lo stesso, è solo che non avevo una parola per dirla e all’inizio dicevo anxiety, poi con le persone con cui ho confidenza ho iniziato a dire: ansia. Anche se si parla in tedesco io dico: ansia. Ho l’ansia, dico, o mi viene l’ansia, o madonna che ansia. Lo dico in italiano, se non c’è una parola tedesca per chiamarla la chiamo in italiano, anche quando parlo in tedesco. Ich hab ansia. A volte l’ansia la ricevo, si dice ansia bekommen. E le persone con cui ho confidenza sanno che cos’è e forse da quando lo sanno, e conoscono il senso dell’ansia in italiano, anche loro sono più soggette all’ansia, perché ora che ci penso io mi circondo di persone ansiose che considero calmanti, e mi accorgo che sono considerate ansiose solo quando poi ne parlo con qualcuno, dico boh che ne so una cosa tipo: ah, quanto mi calma tizia caia, e vedo gli occhi sgranati e passo per pazza: tizia caia ti calma? Sicura? Tizia caia? E nessuno mi crede, è che le persone ansiose che ridono della mia e della loro ansia a me calmano. Che se non ce l’hai, l’ansia, e ridi dell’ansia sei una merda. Ma se ce l’hai e ridi allora mi calmi.

Quando lavoro e arriva una mail a me per esempio viene l’ansia perché non dovrei rispondere alla mail, dovrei lavorare e allora salto la pausa pranzo per rispondere alla mail e già che ci sono ne approfitto per scrivere, anche se dovrei lavorare. Ho il cronometro del telefono che scorre velocissimo, ma per fortuna si è oscurato lo schermo e invece no, perché mentre digito sui tasti ci clicco sopra per controllare quanto tempo ho e allora eccola che parte, l’ansia, e mi prende alla gola e mi dice: non ce la farai mai, sfigata. E ride, l’ansia ride. Poi arriva un’altra mail, rispondo veloce, per risparmiare tempo firmo con l’iniziale, torno a scrivere e mi costava troppo scrivere il nome per intero? Quindi mi viene l’ansia perché avrei dovuto firmarmi con il nome intero e non con l’iniziale. Che poi mi sa a me l’ansia viene anche senza motivo, si presenta e mi dico: embè? Che senso ha, adesso? Perché? Ma non lo so, se sia davvero senza motivo, perché l’ansia mi obbliga a fermarmi e se ci penso allora il motivo magari viene pure fuori. Il problema è che in genere non mi fermo e lei si offende e quindi si vendica, io penso eh ma io il tempo di fermarmi ora mica ce l’ho, non me lo posso permettere, devo fare questo e quello e così la ignoro, e lei si offende sempre di più e diventa sempre più grande e sempre più forte. È stressante e martellante, mi sa ci assomigliamo.

È lei che è diventata come me perché è la mia ansia o sono io che mi sono adeguata a lei? L’ansia altrui è come lei? La mia fa le liste in ordine alfabetico: allergie, anni che passano, consegne, e-mail, esami, futuro, gente-che-ti-fissa-sicura-di-esserti-vestita-o-forse-hai-qualcosa-di-strano-controlla, giornali, guidare, ignoranza (leggi: che tutti scoprano che sei un’ignorante), la-farmacista-che-pian-piano-si-insospettisce-ma-quanta-valeriana-compri-sicura-di-star-bene, la-voce-della-radio-che-la-mattina-non-trova-il-pezzo-del-giornale-che-sta-cercando-e-allora-tossice-poi-si-scusa-e-tu-ti-senti-come-a-scuola-quando-ti-interrogavano, lavoro, macchina, messaggi, notizie, orologio, passato, presente, prestito libri, responsabilità, scadenze, scuola, telefono, tempo, timer – il timer, sta finendo il tempo, oddio, sta finendo il tempo, te l’avevo detto io, riprendi stasera, ma no, non riesco perché se inizio una cosa la finisco, e allora salto gli appuntamenti e poi certo che ti viene l’ansia.

Mi agito, scrivo veloce pur di finire e poi quando avrò finito dovrò spiegare perché non ero in riunione, inventarmi una scusa, mentire, e io non so mentire, sentirò il peso sul petto e avrò fame e ingrasserò perché ormai sarà sera e saltare i pasti fa ingrassare e io non voglio finire vecchia e grassa solo perché non riesco a dirmi ora basta, e mentre scriverò la mail suderò e la rileggerò e la invierò e quando sentirò il rumore tipo fruscio di quando viene spedita mi toglierà il respiro e dovrò rileggerla trenta volte, troverò un refuso e mi vergognerò.

Che poi se davvero mi fermassi a capire cosa vuole da me, l’ansia se ne andrebbe, lo so. È che non voglio, forse perché mi piace parlare in italiano mentre parlo in tedesco.

Un racconto di Maddalena Fingerle

Illustrazione di Artista Senza Nome

Lascia un commento